Missioni Consolata - Giugno 2009
MC GIUGNO 2009 23 Un’altra fonte per la riflessione di que- gli anni fu la nuova teologia africa- na, nello specifico quella congolese elaborata alla facoltà teologica di Kinshasa (Repubblica democratica del Congo). I testi africani criticava- no i missionari che all’epoca tratta- vano la gente come bambini e pre- tendevano di «svuotare la mente dell’africano per introdurvi idee cri- stiane», senza alcun adattamento del cristianesimo nelle culture locali. C’è in essi un superamento del vec- chiomodo di fare missione e le basi per quella che fu, più tardi, definita «inculturazione». Nulla di così nuovo, in realtà nelle Pccm, perché i principi sono quelli delle prime comunità cristiane (da- gli Atti degli Apostoli e lettere di S. Paolo): comunione, condivisione e corresponsabilità. Nelle Pccm, infatti, ogni battezzato ha un ruolo attivo, di servizio gratui- to alla comunità di appartenenza. Il modello si contrappone e sostitui- sce quello del missionario che ha al suo servizio un catechista principa- le, scelto da lui e retribuito per vari incarichi. Il passaggio prevede un cambio di mentalità, non solo della gente,ma anche della gerarchia ec- clesiastica e per questo fu lento e non privo di problemi. La Chiesa ministeriale mozambi- cana resta però originale nella sua realizzazione concreta, difficile tro- varla altrove, se non nei paesi confi- nanti dove viene «esportato» dagli stessi esuli del Mozambico. Matheus viene dalla parrocchia Santa Ana Maimelane, ed è anima- tore da alcuni anni della comunità Santa Maria Macopane. Il consiglio pastorale l’ha «inviato» per formarsi e diventare catechista. «I laici sono i pilastri della chiesa, se vengono a mancare loro cosa succede? - si chiede Sandro Faedi, missionario della Consolata in Mo- zambico fino al 2008. - Senza di loro non siamo niente, diventiamo solo il clericalismo esportato dall’Europa». In Mozambico assistiamo, da quasi quarant’anni, a un particolare per- corso che fa la chiesa, definito come «chiesa ministeriale» ovvero, come sottolinea Onorio Matti,missionario dehoniano e studioso del fenome- no, «chiesa famiglia, chiesa comu- nione». Per le origini occorre risalire al ConcilioVaticano II, che spinge i laici ad avere un ruolo attivo nella chie- sa, per una chiesa di comunione i- spirata alla Trinità, non strutturata inmodo piramidale ma, orizzon- tale, di popolo. LE ORIGINI Sono i primi anni ’70, il Mozambico è ancora colo- nia portoghese,ma infuria la guerra di liberazione. In quel periodo un gruppo di giovani missionari illuminati e for- mati al concilio inizia a riflettere su questo «Nuovomodello di chiesa». Anche il giovane vescovo di Nampu- la domManuel Vieira Pinto dà un notevole impulso alla riflessione. Il sistema di oppressione del periodo coloniale fa pensare al modello del- le «Comunità ecclesiali di base» del- l’America Latina, che si sviluppano in quegli anni nell’ambito della Teo- logia della liberazione. Il percorso sarà un adattamento al contesto a- fricano e, più in particolare, alla cul- tura dei popoli del Mozambico. Si considera che la nascita delle cosiddette «Piccole comunità cri- stiane ministeriali» (Pccm) avvenne in concomitanza con l’indipendenza del paese (1975), anche se, in realtà, si tratta di un processo che durò al- cuni anni e quindi non è identifica- bile con una data precisa. «Le comunità ecclesiali di base la- tinoamericane e le Pccmmozambi- cane coltivano e sviluppano in co- mune il valore della uguale dignità e delle differenti funzioni dei battez- zati e quindi della responsabilità e corresponsabilità che si traducono in servizio.Affermano il dono dello Spirito che è dato a ciascuno per cui il popolo può accedere alla parola dal basso senza doverla sempre e solo ricevere dal presbitero» ricorda padre Onorio nella sua tesi: Storia e prospettive future delle piccole co- munità cristiane ministeriali in Zam- bezia (2007). MISSIONI CONSOLATA Di fianco: celebrazione alla parrocchia di Liqueleva (Maputo). In alto: i fedeli partecipano anche con musiche e canti.
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