Missioni Consolata - Giugno 2009

16 MC GIUGNO 2009 I GRANDI MISSIONARI dimentichi, ella ci disprezzi...Questo silenzio assoluto, questo vedersi gettato come un arnese inutile in un angolo della casa senza nessun se- gno di pensiero per noi... Ravvolgen- do fra me ai piedi dell’altare queste malinconie, non una volta,ma pa- recchie volte mi vennero delle idee, che a prima vista mi parevano tenta- zioni... Per il passato non è mai stato mio costume di criticare i superiori... presentemente però la cosa mi pare accompagnata da segni tali, che il nascondere a vostra santità, avrei paura di violare i sacri doveri di figlio che mi legano a lei...Non è lo spirito di partito che mi fa parlare,ma il pu- ro amore della Santa causa, e men- tre scrivo tengo il Crocifisso nelle mani raccomandando a lui ogni pa- rola che scrivo». Inutilmente il Massaia aveva chie- sto che tale lettera venisse distrutta. Anzi, cinque anni dopo, quando il grande missionario ripresentò le di- missioni, il prefetto di Propaganda fi- de , card.Alessandro Barnabò, fece ri- ferimento a quella lettera per piega- re la volontà granitica del Massaia, invitandolo a riconsiderare, «ai piedi del Crocifisso», la decisione presa. «Ho cercato di tranquillarmi e spo- gliarmi dell’amor proprio - rispose il Massaia -, per quantomi è stato pos- sibile, ed esaminare la cosa avanti al Crocifisso, come ella mi diceva... Ella mi conosce che io non sono tanto facile a convertirmi e a pervertirmi di nuovo....Ma tenga per base una massima ogni qual volta dovrà fare qualche calcolo sopra di me: un co- mando dei superiori per me è più forte di un cannone,mi farà star quieto,mi ammazzerà, e mi getterà nel fango e nella polvere; la ragione è, perché, quanto bramo di dire libe- ramente la verità anche ai superiori, altrettanto poi mi è cara la convin- zione e disposizione di morire mille volte per la fede e per l’ubbidienza alla chiesa e di ciò ella ne ha avuto prove sufficienti per il passato, senza che mi trattenga nel portare prove». Così l’apostolo dei Galla rimase appeso alla croce della sua missione per altri 15 anni, cioè fino alle dimis- sioni definitive presentate a Leone XII il 23 maggio 1880, in seguito all’e- spulsione dall’Etiopia: e ciò «per l’a- more e per il sangue di nostro Si- gnore Gesù Cristo, l’unico che mi tie- ne in questi paesi, non per altro che per sgravare l’obbligo di apostolicità che gravita sopra tutta la chiesa». CALVARIOESANTOSEPOLCRO Il Massaia avvertì il richiamo della Città Santa e vi compì quattro pelle- grinaggi, polarizzando sempre più la sua attenzione sul Calvario e il Santo Sepolcro.Dal primo viaggio (aprile 1851) riportò, come souvenir , lo storico bastone con l’impugnatu- ra di radica d’olivo del Getsemani, che lo accompagnò in tutti gli spo- stamenti africani, per ricordargli a o- gni passo una stazione di via crucis. Nel secondo pellegrinaggio (mar- zo 1864) promise sopra il Santo Se- polcro di non lamentarsi più dei suoi «gravi disgusti...perché come mis- sionario deve fare due parti: una di maestro, che è la minima, e l’altra di vittima pacificatrice in continuazio- ne del sacrificio del Calvario». Per il terzo viaggio (maggio 1866), fu invitato come concelebrante alla consacrazione dell’ausiliare di Geru- salemme; la vigilia della partenza da Gerusalemme, passò «tutta la notte» nella basilica del Santo Sepolcro, di- videndo il tempo tra il Calvario e il Sepolcro stesso. Sulla via dell’esilio, si fermò nella Città Santa per oltre un mese per stare «accanto al sepolcro di nostro Signore con la Maddalena - raccon- ta - per vedere se mi riesce di vede- re una volta il volto del mio caro Padrone». E sembra che gli si sia proprio disvelato il martedì santo, 23 marzo 1880, come scrisse due giorni dopo in una lettera: «L’altro giorno ho celebrato la santa messa sul Calvario... dopo ho voluto senti- re una messa di ringraziamento; ma, arrivata all’ Agnus Dei , caddi svenuto e passai qualche minuto immobile e come morto. Poi, solle- vato dai circostanti,mi rinvenni e conobbi per mia disgrazia d’essere condannato a vivere ancora qual- che tempo. Oh, quanto sarebbe stato bello per me morire sul Calva- rio, dopo aver portato la croce per ben 35 anni di miserabile missione! Ma fui indegno di tanto onore e la mia gran messa, incominciata con Cristo e per Cristo nella mia consa- crazione vescovile, non è ancora ar- rivata all’ Ite missa est ». La causa di quell’incidente va ben al di là del deliquio dovuto all’estre- ma debolezza fisica,ma lascia intra- vedere una dimensione mistica, co- me il Massaia scrive nelle Memorie : «Quel fatto lasciò inme un non so quale incantesimo, che ancora oggi mentre scrivo, più di sei anni dopo, il solo presentarsi alla mia mente il ca- so di allora mi causa una crisi tale che non posso spiegare, senza ricor- rere al fascino del luogo santo. Biso- gna confessare, che in una persona che abbia fede, il pensiero del Calva- rio produce sempre un effetto che non posso spiegare e che serve mol- to a ravvivare il mio spirito nella me- ditazione». ■ Carovana del Massaia nella solitudine del deserto (dai disegni di Bruno Maraffa).

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