Missioni Consolata - Giugno 2009

molto semplice tornerà a coloro che vi lavoreranno con semplicità. Carissimo, dopo 18 anni di aposto- lato tra gli africani, parlo con cogni- zione di causa: l’Africa è difficile per chi, educato nella nostra patria al fa- sto e alle delizie, non sa vestire la semplicità e povertà degli etiopi, per renderli doviziosi.Questa è quasi l’u- nica difficoltà; che però non è tale per i discepoli di Cristo». Scrivendo il 20 gennaio 1883 al confratello Luigi Gonzaga Lasserre da Morestel, appena consacrato ve- scovo, il Massaia rivela con tono confidenziale: «Essere consacrato vescovo vuol dire essere sposato al- la chiesa di Cristo, per la quale dove- te essere disposto a dare il vostro sangue, se occorrerà. Ecco il mio consiglio netto, consiglio che io ho sempre praticato e lo pratico anco- ra: ogni giorno, celebrando la santa messa o nelle vostre preghiere, rin- novate sempre l’atto di sacrificio della vostra vita in unione con quel- lo fatto da nostro Signore sul Calva- rio, e che rinnova inmodo incruento ogni giornomisticamente nella san- ta messa, quando dite in nome suo: Hoc est corpus...hic est calix... Se po- tete, abbiate un desiderio di morire per lui; se poi siete debole, dite un fiat voluntas tua .Con questo eserci- zio guadagnerete tutta la gloria di martire ogni giorno, anche vivendo cento anni... Vi lascio ai piedi del cro- cifisso nostro Signore». «VESCOVI DELLEMISSIONI VITTIME E NON SPOSI» Il Massaia aveva sperimentato in sé la ripugnanza ad accettare il peso dell’episcopato e vi si era piegato solo quando il suo vicario generale, padre Andrea da Arezzo, lo aveva persuaso «che l’episcopato di un missionario è più peso che onore... un vincolo di più al martirio dell’a- postolato». Lo stesso ragionamento faceva a quanti si opponevano a es- sere da lui consacrati vescovi, come nel caso di Giustino de Jacobis.Que- sti, prefetto della missione dell’Abis- sinia, rifiutava ostinatamente di es- sere consacrato vescovo.Dopo aver- le provate tutte per controbattere le sue obiezioni, il Massaia riuscì a con- vincerlo quando, con «una forte par- lata di risentimento», sentenziò che «i vescovi delle missioni sono vitti- lico; per cui, fino a tanto che avrò fia- to e voce, non lascerò di parlare per- suaso anche di compiere una parte della missione che per tremendo decreto di Dio sta sulle mie spalle. Quando solamente mi riuscisse di accrescere il capitale del fuoco apo- stolico di una sola scintilla, io sarei molto fortunato». In una lettera scritta al Comboni, nel 1865, pur incoraggiandolo ad at- tuare il suo Piano di rigenerazione dell’Africa , nonmanca di prospettare difficoltà, persecuzioni e perfino la morte, concludendo: «Il martirio nel- l’Africa non è martirio di sangue,ma piuttostomartirio di cuore e di tri- bolazione; e quindi per gli apostoli di energico volere e di paziente fati- ca, l’evangelizzazione dell’Africa non è a dirsi per nulla difficile; anzi sangue,martirio. Sembra addirittura esserne ossessionato. Scrivendo nel novembre 1847 al procuratore generale, padre Felice Fenech da Lipari, dichiara esplicita- mente di essere «non solomissiona- rio, ma di uno spirito tutto fuoco per le missioni»; e aggiunge che tale spi- rito è un’urgenza per tutta la chiesa. Personalmente non può «riposare tranquillo, fin tanto che i quattro quinti del genere umano corrono la via di perdizione e in un terzo del globo non scorre il Sangue adorabi- le di Cristo». Ed è proprio l’urgenza della mis- sione «che mi ha convinto ad ab- bandonare l’amata provincia mona- stica per dedicarmi alle missioni, e sono pure i sentimenti di cui vorrei fosse inondato tutto il mondo catto- 14 MC GIUGNO 2009 I GRANDI MISSIONARI LA VERA FELICITÀ I n un momento particolarmente critico della sua missione nel Kaffa, l’11 ottobre 1860, il Massaia scriveva all’ex-alunno e confidente, padre Pier Maurizio da Cos- sato, la seguente lettera, in cui rivela il segreto della felicità sicura e stabile: il totale abbandono nel Padre, espresso dal mistero della croce e vissuto dal Figlio di Dio. «Ho ricevuto la vostra carissima e grata lettera: fra i 30 e più studenti che ho alle- vato, voi siete il solo che mi scrivete; tutti gli altri si sono dimenticati di me... Poiché vi ho sempre amato, e vi amo tuttora, io non cambio linguaggio con voi e tanto più ora che mi vedo invecchiato,distrutto dalle fatiche e vicino a lasciare questo mondo. Voi dite che questo mondo è crudele,ma sapete voi che cosa è il mondo? Il mon- do è il cuor vostro, figlio mio; e appunto diventa crudele, perché non avrà forse an- cora saputo riposare bene in Dio...Persuadetevi, figlio mio,che trovando la vera bus- sola della carità divina, potrete trovare anche tutta la tranquillità in questo mondo. Io vedo che questi selvaggi,e io stesso divenutomezzo selvaggio,dormiamo sulla nu- da terra saporitamente, mentre i delicati d’Europa non possono riposare sopra un monte di piume, di cotone e lana; non è il letto, ma sibbene la diversa disposizione del dormiente che si fabbrica dei bisogni a capriccio. C osì è il caso nostro; parlando di me stesso, quando ero in convento, io trovavo o tutto buono o tutto cattivo, secondo come stava il mio cuore; presentemen- te frammezzo a questi selvaggi... in mezzo ai pidocchi, pulci, cimici e altri insetti infi- niti che non si conoscono in Europa, e che tormentano la povera umanità, pure ba- sta un momento di fervore che tutto scompare, tutto pare dolce e soave; un tanti- no che Iddio ritiri la mano, subito compare un vero inferno; cosa volete di più? Persuadetevi di questo, attaccatevi al vero elemento di felicità e sarete felice... Iddio, che mette l’equilibrio ai cardini cosmologici, è quello l’unico che deve ricomporre l’equilibrio del cuore e non altro... Umiltà, figlio mio, e tutto verrà dietro con la be- nedizione di Dio; io credevo di farmi dotto studiando, ma ho veduto che si guada- gna di più meditando, e non cose sublimi, no, il Crocifisso. Del resto, figlio mio, io sono sempre quello, perché Iddio è sempre lo stesso e la sua parola creatrice e ricreatrice dei cuori non si cambia. Sto occupandomi qui, a- spettando che il Padrone mi chiami alla gran cena; il lavoro che faccio, se piaccia o non piaccia a Dio, non lo so e non mi curo di saperlo, purché sciens et volens non fac- cia ciò che dispiace a lui, anzi,mi sforzi di fare la sua volontà per quanto so e posso. Dalla mia entrata in questi boschi abbiamo qualche anima che conosce Iddio, un bel numero mi ha preceduto nel riposo eterno di quelli che prima non ci pensava- no, una certa quantità di cristiani vi sono che incominciano a temere Iddio; un rag- gio di luce evangelica è stato gettato in questi luoghi di tenebre; Iddio farà il resto, e noi non sappiamo nulla di più. Vi abbraccio nel santo Crocifisso, e lasciandovi ai pie- di di nostra Madre Maria santissima godo rinnovarmi, aff.mo fra’ G. Massaia, vescovo

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