Missioni Consolata - Maggio 2009

MC MAGGIO 2009 63 tevoli sforzi per ricreare le condizioni per una pacifica convivenza, puntan- do soprattutto sulle nuove genera- zioni: progetti di intercultura - uno chiamato emblematicamente Mozaik - nelle scuole, a partire dall'asilo, perché i futuri cittadini del Kosovo siano plurilingue e multiculturali. In classe si celebrano le feste tradizio- nali degli uni e degli altri e c'è una maestra per ognuna delle comunità rappresentate. Ma è raro vedere bambini serbi e albanesi giocare in- sieme: l'esistenza di istituzioni parallele fa sì che questi fre- quentino strutture scolastiche separate. Nelle classi e scuo- le albanesi regolari, poi, il serbo non si studia più, così che già la prossima generazione non sarà più in grado di capire la lingua delle altre comunità. S e prima della guerra non era raro che uomini albanesi spo- sassero donne serbe, bosniache o turche, adesso ciò av- viene di rado, perchénonci sonopiùgli spazi incui due gio- vani appartenenti a gruppi diversi possano incontrarsi. Per fortuna c'è il barTrafi, il più trendy della capitale, dove si ritrovano pro- prio tutti davanti ad un buon raki , acquavite aromatizzata con anice, di origine turca. Questa «meglio gioventù», che a meno di 30 anni ha già vi- sto mezzo mondo e che è tornata «in patria» per cercare un lavoro dignitoso, rappresenta forse l'unica speranza perché la costruzione di una società multietnica e tollerante non re- sti soltanto vuota retorica e strumentale propaganda politi- ca. Lasciandosi alle spalle i miti e gli odi del recente passato, i ragazzi di Pristina riusciranno forse pian piano a rimuovere anche il ricordo di una barbarie altrimenti sempre pronta a riesplodere non nella «periferia della periferia dell'Europa», ma in uno dei suoi centri nevralgici e vitali. E me ne vado via così, con l’impressione di aver sentito so- lo una campana, quella delle aquile. Mentre i merli svolazza- no, mesti e silenziosi, nel cielo di Obeliq. S ILVIA Z ACCARIA musicisti che improvvisano, con trom- be e fisarmoniche, le melodie tradizio- nali con cui si accompagnano i giovani promessi alle nozze. Multi-etnicità e donatori sono con- cetti chiave in Kosovo. Il piano Ahtisaa- ri metteva un forte accento sulla for- mazione di uno stato multietnico, e la costruzione di una società democrati- ca e fondata sulla diversità è dichiarata una priorità dall'autoproclamato neo- governo, che freme per il riconosci- mento pieno del Kosovo e il suo in- gresso in Europa. Ma, a parte le dichiarazioni di intenti, gli sforzi di politici illuminati e le buone intenzioni della gente comune, quando si transita per una enclave serba si ha l'im- pressione di varcare una frontiera. Gracanica è uno degli antichi monasteri, ora sotto la pro- tezione di un drappello di soldati e soldatesse svedesi della Kosovo Force (Kfor) forze armate guidate dalla Nato che dal 1999 presidiano il territorio kosovaro per «garantire la sicu- rezza e la libertà di movimento dei serbi». Qui le indicazioni sono soltanto in serbo; i passanti (i serbi che sono rimasti o quei pochi che sono tornati) abbassano lo sguardo; e la no- stra macchina targata KS tira dritto senza indugiare. La targa con l’abbreviazione KS, istituita dall'Unmik, permette di viag- giare soltanto in Kosovo, Albania e Macedonia. Arriviamo a Mitrovica, dove la parte nord e sud della città sono separate non solo dal tristemente noto «Ponte sul fiu- me Ibar» - immagine quotidianamente propinataci nei mesi della guerra da tutti i telegiornali - ma anche da una sottile striscia di terra di nessuno. Bisogna lasciare la macchina e continuare a piedi, oltre il posto di blocco, dove un altro sol- dato della Kfor si scalda annoiato le mani, sullo sfondo di un cielo grigio infuocato per le esalazioni della Trepca, industria di estrazione e lavorazione del piombo che dava lavoro a cen- tinaia di persone ora chiusa. Qui i tassi di inquinamento sono almeno 200 volte supe- riori ai limiti fissati dall'Organizzazione mondiale della sanità. I l rappresentante serbo dell'organizzazione internazionale per conto della quale mi trovo in Kosovo, forse l'unica a o- perare anche a Mitrovica, ci viene incontro sorridente e stringe forte le mani a me e ai colleghi kosovari. Incontriamo anche Svetlana, la responsabile del centro di riabilitazione per ragazzi disabili. Il suo volto si fa teso quando ci racconta che il centro non riceve alcun sostegno dalle autorità locali serbe che, per l'educazione e l'assistenza sanitaria, dipendono di- rettamente da Belgrado. Il funzionamento del centro è garan- tito solo dall'organizzazione che ha la sede a Pristina. Se hanno problemi di salute, i serbi di Mitrovica preferi- scono andare sino a Belgrado, mentre, mi dicono i colleghi kosovari, gli albanesi di Mitrovica sud non mettono piede in un ospedale serbo dai tempi dell' apartheid imposto da Mi- losevic a partire dal 1989. Alcune organizzazioni non governative hanno profuso no- P ARLA CON COSCIENZA , SENZA GUARDARE IN FACCIA ALCUNO . L A RUBRICA È , PER DEFINIZIONE , APERTA A TUTTE LE OPINIONI . C ONDIVISIBILI O MENO , SARANNO I LETTORI A STABILIRLO . Una pattuglia di soldati svedesi del Kfor.

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