Missioni Consolata - Maggio 2009
rano state portate subito all’amba- sciata italiana, da dove avevano po- tutomettersi in contatto con le loro consorelle e confratelli.Ma lasciamo la parola a suor Caterina. LA CATTURA Era circa mezzanotte.Dormivamo tranquille, sentendoci al sicuro nelle nostre stanze, protette dalle mura del recinto e due portoni di ferro, quando d’improvviso fui svegliata dall’inconfondibile scricchiolio del portone del cortile interno.Mi alzai allarmata, chiamai suor Maria e corsi alla finestra del soggiorno in tempo per vedere le luci di molte torce che avanzavano verso le nostre stanze. Poi si udirono degli spari,mitraglia- vano la porta della stanza di suor Maria. Corsi indietro e mi aggrappai alla vecchia sirena a mano (fornitaci ne- gli anni ‘70 da padre Giovanni Bon- zanino!). Suonai l’allarme girando la manovella con tutte le mie forze per diversi minuti, finché sentii sparare anche contro la mia porta. Mi resi conto che ero ancora in pi- giama; mi vestii in fretta e mi nascosi dietro un armadio (mi viene da ride- re pensando alla mia ingenuità!), mentre la porta stava crollando sot- to la gragnola di proiettili. Entrò un giovane, si diresse verso il mio letto. Non c’ero.Guardò in giro,mi scorse, mi afferrò una mano, uno strattone e mi ritrovai in terra come un sacco di patate.Mi trascinò fuori senza complimenti e ... senza scarpe. Suor Maria era già fuori, con una torcia inmano. Prima che la sua por- ta fosse sfondata, aveva tentato di chiamare aiuto con il telefonomobi- le, ma nessuno aveva risposto. Spintonate dai nostri sequestrato- ri, arrivammo al portone esterno: un colpo di fucile mandò in frantumi il grosso lucchetto nel quale avevamo riposto tanta fiducia.Trascinate e strattonate, attraversammo a passo svelto l’intero villaggio di ElWak. Io gridavo aiuto con tutta la mia voce, mentre il mio sequestratore mi pic- 48 MC MAGGIO 2009 KENYA riam, come è chiamata in lingua so- mala, non parla molto.Così si limita a spalleggiare Khatra, con una voce che invita alla cautela, conferma, corregge, aggiunge, chiarisce e met- te in guardia quando la potenza e- vocatrice dei ricordi supera la pru- denza, per non rivelare cose che sa- rebbe meglio non dire.Ma quanta profonda e delicata sensibilità si no- tano in quelle poche parole e in quella voce profonda! Dal loro racconto non sapremo molto sul perché furono catturate, sui negoziati ed eventuale richiesta di riscatto, su come furono liberate. Notizie di stampa locale e interna- zionale hanno riferito che i seque- stratori eranomiliziani di Al Sha- baab e che la loro detenzione fosse a Mogadiscio. Sui giornali sono ap- parse anche congetture su un paga- mento di riscatto e su uno scambio di prigionieri. La verità è gelosamen- te custodita da chi ha fatto il suo do- vere in silenzio.Da parte mia ho evi- tato deliberatamente l’argomento durante la nostra conversazione. So solo che il 19 febbraio, alle 3 del pomeriggio, una festosa telefonata mi informava che le due suore erano state liberate e, arrivate a Nairobi, e- Casa regionale dei missionari della Consolata a Nairobi: le due suore con membri della loro comunità e con il card. Njue, e in un momento di preghiera nella cappella.
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