Missioni Consolata - Maggio 2009

MISSIONI CONSOLATA MC MAGGIO 2009 37 D ue volte campioni del mondo (1930-1950), due titoli olimpici (1924-1928), 14 vittorie in campo continentale tra Coppa americana e tornei per na- zioni sudamericane, 1 Coppa de oro (Mundialito 1980) conquistata battendo tutte le nazionali campioni del mondo: il palmares della nazionale di calcio dell’Uru- guay è ricco ed abbondante. Ma soprattutto è sor- prendente, se si considera che tutti questi titoli in cam- po calcistico sono stati ottenuti da una nazione di tre milioni di abitanti. Forse vale la pena ricordare che la prima edizione dei Campionati del mondo di calcio fu assegnata dalla Fifa proprio all’Uruguay, che nel 1930 celebrava i cent’anni della Costituzione repubblicana. Per l’occasione, la capitale Montevideo si tirò a lucido e costruì un imponente e maestoso stadio denomina- to appunto «Estadio Centenario». In finale giunsero (manco a farlo apposta) le nazionali dei paesi che si af- facciano sulle due sponde del Rio de la Plata: Uruguay e Argentina. In quella prima finale mondiale l’Uruguay sconfisse l’Argentina per 4 a 2. Raccontano le crona- che dell’epoca che l’arbitro belga, prima di entrare in campo, pretese ed ottenne per sé e per la sua famiglia un’assicurazione sulla vita e una nave diretta in Euro- pa in partenza qualche ora dopo la finale del Campio- nato del mondo. La vittoria della nazionale «Charrua» sui cugini argentini rasentò quasi l’interruzione dei rap- porti diplomatici per la tensione che si venne a creare. Ancor più memorabile fu la vittoria nella finale del 1950 nello stadio del Maracanà di Rio de Janeiro. Il Bra- sile, in quel torneo giocato in casa, sostenuto da un pubblico incandescente aveva fatto un sol boccone di Svezia e Spagna, battendoli rispettivamente per 7 a 1 e 6 a 1 e si preparava a fare altrettanto col «pollicino Uruguay». Questi invece, nonostante i padroni di casa avessero segnato il primo gol con l’attaccante Friaça , ribaltarono il risultato grazie a due pro- dezze di Schiaffino e Ghiggia, raffinati talenti del calcio creolo rioplatense dell’epoca, man- dando in visibilio via radio il minuscolo Uru- guay e portando alla disperazione il grande Brasile, che già si preparava a festeg- giare con fantasia carioca e fuochi d’artificio la conquista del tito- lo. Da quel giorno in entram- bi i paesi entrò nel lessico popolare un neologismo: «el maracanazo» in spagno- lo e «o maracanaço» in portoghese, sinonimi nel primo caso di un’impresa straordinaria, nel secondo di un di- sastro nazionale. S in da quando il gioco del calcio approdò a Monte- video, grazie alle partite che i marinai inglesi gio- cavano nell’attesa che le loro navi venissero stiva- te di carne salata, affumicata o in scatola da portare in Europa, i creoli uruguayos se ne appropriarono inven- tando una originale variabile del gioco del calcio, che univa la fantasia sudamericana all’agonismo europeo. Nel 1917, l’Uruguay vinse il primo Campionato intera- mericano di calcio e alle Olimpiadi del 1924 a Parigi la nazionale celeste mandò in delirio il pubblico francese grazie alle prodezze di Josè Leandro Andrade, un nero che si massaggiava le caviglie col grasso di lucertola (così diceva lui), dandole agilità nella corsa e precisio- ne nel tiro. Fu chiamato la «meraviglia nera» e, antici- pando i tempi della nazionale brasiliana, riscattò seco- li di umiliazioni della sua razza attraverso squisite e de- licate giocate calcistiche. Sulla scia di questi straordinari giocatori e di una nazionale di calcio che incantava in qualunque parte del mondo giocava, l’Uruguay conti- nuò a mietere allori in campo interamericano, ma an- che ad esportare giocatori in diverse nazioni del mon- do. Purtroppo, l’abilità che i giocatori avevano nelle gambe non sempre si trasformò in abilità manageriale dei propri successi. Tanto per fare un esempio, Andra- de terminò facendo lo strillone di giornali e Ghiggia morì povero e dimenticato da tutti. Resta il fatto che il gioco del calcio per gli uruguaya- ni rimane tutt’ora un fenomeno in cui si intrecciano e si mescolano le speranze degli emigranti europei, ap- prodati sul Rio de la Plata alla ricerca di un posto al so- le, la gioiosità di neri e meticci e la fantasia creola. Questa stupefacente sintesi di genio e sregolatez- za continua a sorprendere gli appassionati del pal- lone di ogni parte del globo, che non riescono a spiegarsi come un piccolo paese sia riuscito a scrivere pagine così gloriose nella storia dello sport più popolare al mondo. Mario Bandera QUELLI DALLE MAGLIETTE CELESTI Vittorie incredibili e giocatori portentosi: i «miracoli» calcistici di un paese con appena 3 milioni di abitanti. Il calciatore Rubén Olivera. Sotto: lo stadio del Centenario, a Montevideo. come calcio C

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=