Missioni Consolata - Maggio 2009
DOSSIER 32 MC MAGGIO 2009 M isi piede in Uruguay per la prima volta nel lonta- no gennaio del 1977, dopo un viaggio in nave di un paio di settimane: a quel tempo l’epoca dei viaggi transoceanici via mare stava concludendo il suo onorato servizio dopo quasi cinque secoli di spola tra le due sponde dell’Atlantico. Da allora il mio legame con il « paysito » (come affettuosamente gli uruguayani chiamano la loro terra) è cresciuto di anno in anno con- dividendo in gran parte dolori e sofferenze, gioie e spe- ranze della sua gente: i primi legati al triste e buio pe- riodo della dittatura militare, le seconde intrecciate con il faticoso cammino intrapreso per riacquistare la li- bertà. Avendo vissuto un’esperienza credo unica ed ir- ripetibile, quella cioè di completare i miei studi di teo- logia presso l’«Istituto teologico uruguayano “Mariano Soler”» ho avuto modo di passare diversi anni accanto ad una generazione di sacerdoti formatori e giovani se- minaristi del luogo, partecipi fino in fondo ai drammi del loro paese, ma dotati di una fede incrollabile nella speranza di un futuro migliore. Alcuni di loro avevano sperimentato sulla propria pelle il carcere, altri aveva- no qualche familiare detenuto per motivi politici nelle orribili prigioni della dittatura militare, una delle più ot- tuse di quel periodo. Conservo nitido nella mia mente tutto quanto ho vissuto in quegli anni, anche se dopo tanto tempo, forse è più facile rielaborare con distacco quanto successe nel piccolo paese situato sul lato orien- tale del Rio de la Plata. C onsolidatosi sul piano culturale grazie all’influs- so dell’illuminismo - imperante a quel tempo ne- gli ambienti rivoluzionari del Sud America - ed in- fluenzato da correnti di pensiero della massoneria eu- ropea (notoriamente anticlericale), l’Uruguay sin dall’i- nizio si caratterizzò come una repubblica laica che teneva a una certa distanza la chiesa cattolica. A sua volta la Santa sede, lontana ed avulsa agli avvenimenti del tempo e non percependo i cambiamenti che si an- davano operando, mantenne i territori legati a Montevideo soggetti all’arcidiocesi di Bue- nos Aires, creando molte diffi- coltà tra i cattolici che, dal pun- to di vista politico obbedivano alle leggi della nuova nazione repubblicana, mentre dal punto di vista religioso dovevano ob- bedienza ad un vescovo «stra- niero». Solo dopo quasi qua- rant’anni dall’indipendenza, venne costituita, il 13 luglio del 1878, la diocesi di Montevideo, che comprendeva allora tutto il territorio nazionale e che fu affidata alle cure pastora- li di mons. Jacinto Vera, primo vescovo nativo dell’U- ruguay, uno zelante pastore ricordato ancora oggi co- me « el Obispo gaucho ». Nel 1915, il presidente José Batlle y Ordóñez separò la chiesa dallo stato e cambiò i nomi delle feste reli- giose del calendario. Ancora oggi in Uruguay la Setti- mana santa è denominata «Semana del turismo», così come l’8 dicembre, festa dell’Immacolata, è definito « El dia de la playa » (il giorno della spiaggia) e il Natale « El dia de la familia » e via dicendo. La chiesa uruguayana, la « iglesia chica » (la chiesa piccola), come viene defini- ta, è stata sempre una chiesa povera ma dignitosa, con un suo originale pensiero teologico e una ancora più originale prassi pastorale, dovuti al fatto di confron- tarsi con una realtà politica e sociale tanto diversa ri- spetto al resto dei paesi sudamericani. Pur connotandosi sin dal suo inizio come uno stato molto secolarizzato, l’influenza di una visione religio- sa nella vita sociale e comunitaria, si colse già durante il processo di indipendenza, basti pensare che il se- gretario dell’eroe nazionale José Artigas, ispiratore di gran parte dei suoi scritti, era un frate francescano, mentre uno degli estensori della prima Costituzione fu il presbitero Antonio Damaso Larrañaga, straordinaria figura di scienziato e letterato, fondatore tra l’altro del- l’Università e della Biblioteca nazionale, a tutt’oggi ono- re e vanto del piccolo Uruguay in campo accademico. Artigas stesso si era formato nei collegi francescani del paese, conservando per tutta la sua esistenza uno spi- rito di servizio improntato agli ideali di vita del Santo di Assisi. Non a caso tutti i suoi scritti sono molto di- versi dal linguaggio retorico e roboante dei grandi Li- bertadores del suo tempo. C reata la gerarchia cattolica con la nomina di mons. Jacinto Vera a vescovo di Montevideo, nel paese ben presto si formò una generazione di pastori, che si qualificarono come le menti più acute e brillanti in campo ecclesiale, capaci di op- porsi e contrastare l’anticlerica- lismo e il laicismo che contagia- va la classe dominante, sia a li- vello culturale che politico. Non a caso quando Leone XIII, nel 1899, convocò a Roma il pri- mo Concilio latinoamericano, la relazione di apertura fu affidata a mons. Mariano Soler, arcive- come chiesa / 1 C LA «IGLESIA CHICA» Nell’Ottocento, la diffusione in Uruguay del pensiero illuminista e massonico favorì l’affermazione del laicismo. Nel 1915, la separazione tra stato e chiesa venne formalizzata da José Batlle y Ordóñez, presidente tra i più apprezzati della storia uruguayana. In questo contesto, la chiesa... Punta del Este: Iglesia de la Candelaria.
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