Missioni Consolata - Aprile 2009

28 MC APRILE 2009 I MPARARE A PENSARE COME GLI ANTICHI Quando parliamo dell’«autore» di un libro, oggi siamo spinti a immaginare una persona seduta alla scrivania in- tenta a comporre a mano, o al computer, una storia «or- dinata», organizzata sulle fonti con puntiglioso riferi- mento alle date, ai luoghi e alle persone. Oggi si dispon- gono anche delle video registrazioni che fanno vedere «quel momento» passato come se fosse contemporaneo: si possono ascoltare le parole e pure «vedere» la persona che parla, anche se morta. Dobbiamo dimenticare tutto questo, quando prendia- mo in mano un vangelo o un libro antico; al contrario dobbiamo cercare di documentarci sui metodi di tra- smissione delle opere. Per noi è difficile immaginare che, al tempo dei vangeli, solo pochissime persone sapevano leggere e scrivere e che non esisteva la stampa, né la car- ta come la possediamo oggi. Nei tempi antichi i testi scritti erano pochi e per di più su materiale fragile e co- stoso come il coccio, papiro, pelli di capra, ecc. I vangeli canonici, compreso quello di Giovanni, nella loro stesura definitiva non sono opera di un solo autore, ma sono il risultato di un lungo processo e anche di mol- te mani di persone di generazioni diverse. È evidente che nello spazio di un articolo non possiamo dare conto di tutte le ipotesi e di tutti gli studi che sono sterminati, ma possiamo garantire di offrire una sintesi onesta e corret- ta dei risultati condivisi dalla quasi totalità degli studiosi. Per dare una risposta alla domanda «chi è l’autore del quarto vangelo?», bisogna procedere per gradi e percor- rere i singoli momenti con attenzione, ripercorrendo brevemente le diverse tappe. P RIMA TAPPA : DA G ESÙ AGLI APOSTOLI a) Gesù vive in Palestina tra il 6°-7° sec. a.C. e il 30 d.C. per un totale di circa 36 anni, di cui gli ultimi tre o due pubblici, perché li impiega predicando come un rabbino itinerante dentro e fuori la Palestina. Egli non lascia scritto nulla, anzi l’unica volta in cui abbiamo testimo- nianza che scrisse qualcosa, scrisse sulla polvere per ter- ra, durante il processo alla donna adultera (Gv 8,8). b) Dopo la morte di Gesù e la sua risurrezione, gli apo- stoli, superata la paura e lo smarrimento, si mettono a «predicare» in pubblico per convincere che Gesù di Na- zaret è il messia atteso da Israele (cf At 2,1-47). La prima predicazione degli apostoli si rivolge agli ebrei e il con- tenuto di essa è solo e quasi esclusivamente il «mistero pasquale», cioè la passione, morte, risurrezione, ascen- sione (glorificazione) di Gesù e il dono dello Spirito San- to. Gli apostoli non si preoccupano di scrivere. c) Qui si colloca la prima tappa della «tradizione/tra- smissione» del vangelo: la tradizione orale che si tra- manda da persona a persona, da generazione a genera- zione. Chi parla descrive quello che crede e la propria e- sperienza con la passione di chi vuole convincere gli a- scoltatori, non con la freddezza dello studioso a tavolino. Anche l’apostolo Giovanni ha cominciato a predicare in Palestina, da dove con ogni probabilità si è trasferito in Asia Minore, nell’attuale Turchia, con epicentro Efeso, dove c’era un gruppo di giudeo-cristiani che viveva al- l’interno di una comunità di origine greca. Qui infatti a- veva operato l’apostolo Paolo circa 30 anni prima, dimo- rando per quasi tre anni a Efeso (dal 53/54 al 56/57). In questo contesto «plurale», l’apostolo Giovanni è l’i- niziatore, il primo anello di partenza della tradizione gio- vannea, che lentamente si andrà formando sul suo inse- gnamento e sulla sua predicazione. È probabile che a E- feso, dopo la distruzione di Gerusalemme e l’espulsione dei giudei (70 d. C.) si costituisca un’autentica «scuola giovannea», che riflette e sviluppa la predicazione che fa riferimento all’apostolo Giovanni, che è così l’iniziatore di una corrente o scuola, ma non l’autore materiale del vangelo come oggi lo possediamo. S ECONDA TAPPA : DAGLI APOSTOLI ALLA VITA DELLA COMUNITÀ La comunità è una realtà viva, che si struttura attorno alla fede in Cristo: essa celebra la liturgia, testimonia con la vita, subisce persecuzioni e naturalmente raccoglie te- stimonianze su Gesù o liste parziali di miracoli, insegna- menti, parabole per scopi immediati come la liturgia o la catechesi. Nel vangelo di Giovanni, per esempio, si trova- no solo sette miracoli (già il numero sette è emblema- tico, perché simbolico), che l’autore preferisce chiamare «segni», per riportarsi a un livello più profondo che non sia quello esteriore del miracolistico eclatante. Tutti que- sti «sette segni» sono costruiti in modo diverso da quelli narrati nei vangeli sinottici. Ecco di seguito l’elenco: 1. le nozze di Cana (Gv 2,1-11); 2. guarigione del figlio del funzionario romano (Gv 4,46-54); 3. guarigione del paralitico alla piscina di Betesda (Gv 5,1-18); 4. moltiplicazione dei pani (Gv 6,1-14); 5. guarigione del cieco nato (9,1-41); 6. risurrezione di Lazzaro (11,1-42); 7. pesca miracolosa (Gv 21,1-14). Tutti questi «segni» hanno lo stesso schema: sono dia- logati, c’è sempre un’azione, un crescendo che si svilup- pa a volte in discorso lungo e articolato come nella mol- tiplicazione dei pani, un intermezzo e infine una lenta ri- soluzione verso la conclusione positiva. È evidente anche al lettore più sprovveduto che non ci troviamo più di fronte al «fatto storico» nudo e crudo, come possiamo in- tenderlo noi oggi. Bisogna capire che le prime comunità cristiane hanno avuto una vita travagliata anche sul piano della fede e non hanno capito chi fosse Gesù da subito, ma hanno e- laborato lentamente una «cristologia» che ha fatto fatica a prendere piede, in mezzo a eresie, rifiuti, contrapposi- zione di gruppi, di idee che spesso culminavano in reci- proche scomuniche o esclusioni. Dai testi possiamo rile- vare, e gli studi lo confermano, che la comunità che fa ca- po all’apostolo Giovanni, è una comunità divisa, frantu- mata, lacerata da divisioni, come lo sono anche quelle di Paolo (v. 1Gv 2,18-27; 4,1-6; 2Gv 7-11; 3Gv 9-11; per Paolo: 1Cor 1,10-16). Non bisogna lasciarsi ingannare da quanto scrive Luca: «Tutti i credenti stavano insieme e a- vevano ogni cosa in comune» (At 2,44), perché non ri- specchia la realtà primitiva, ma idealizza ciò che dovreb- be essere la comunità.

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