Missioni Consolata - Aprile 2009

18 MC APRILE 2009 MADAGASCAR rono la modernizzazione dello stato e della società malgascia e furono ri- conosciuti anche dalle potenze occi- dentali, sono considerati sacri dal popolomalgascio, insieme ai loro palazzi e alle loro tombe, e come tali ritenuti simbolo di unità nazionale. COLONIA FRANCESE Nel 1883 navi da guerra francesi attaccarono il Madagascar, occu- pandone i principali porti e costrin- gendo il governo a firmare un tratta- to che dichiarava l’isola protettorato francese. La regina Ranavalona III si rifiutò di abdicare. I francesi allora le dichiararono guerra e circondarono la capitale Antananarivo. L’esercito malgascio, guidato da un ufficiale dell’artiglieria inglese, il maggiore John Graves, resistette nove mesi, ma alla fine dovette capitolare. Il 6 a- gosto 1896 il Madagascar fu ufficial- mente dichiarato colonia francese. Primo governatore dell’isola fu il generale Joseph Gallieni. Egli cercò di escludere dal potere l’aristocrazia merina , soppresse la lingua malga- scia e dichiarò il francese lingua uffi- ciale. La schiavitù fu nominalmente abolita,ma venne sostituita da un si- stema di tassazione altrettanto op- pressivo e oneroso, che costringeva ai lavori forzati chiunque non fosse in grado di pagare. Agli uomini fu imposta una corvée di 30 giorni di lavoro gratuito per la costruzione di strade, fabbriche e in- dustrie alimentari e tessili. La terra venne espropriata a vantaggio di società e coloni stranieri, che svilup- parono un’economia di esportazio- ne di caffè, coltivato lungo i versanti collinari prospicienti l’Oceano India- no, di vaniglia, diffusa in tutta la pia- nura costiera orientale, canna da zucchero, cotone, spezie, legname delle foreste tropicali,minerali e pie- tre preziose. Con l’affermarsi del colonialismo l’isola fu anche dotata di infrastrut- ture moderne: scuole, strade, ospe- dali, mezzi di comunicazione, come ferrovia, poste, auto e camion, indi- spensabili su un territorio vasto qua- si due volte l’Italia, per di più tor- mentato da catene montuose sco- scese anche se non altissime, da rocce calcaree erose e appuntite e da numerose foreste pluviali, dove vive una caratteristica fauna, come i LE PAROLE NELLA PAROLA L e parole non hanno né singolare né plurale, non sono né maschili né femmi- nili. Sono mute; non parlano a nessuno. Sono come un tronco senza rami e fiori, una radice morta. Hanno bisogno di riavere la vita, di rinascere e fiorire. È questa la prima impressione che un linguista poco esperto riceve quando sente parlare la gente della «grande isola rossa», il Madagascar. E non è finita: le parole sono lunghe, lunghissime, intrecciate fra loro. Lo stra- niero che le sente pronunciare non riesce a rincorrerle. Possono contare nu- merosi caratteri, fino a una quarantina, che la pronuncia semplifica contraendo le sillabe. L’accento in tal caso si pone dopo l’aggiunta di prefissi e suffissi, per co- sì modificare il senso delle parole. Il loro ordine cambia a secondo che si vuole insistere sul soggetto, sull’oggetto o sulle circostanze. Formati da molte lettere sono soprattutto i toponimi e i cognomi, a volte difficili da pronunciare. Ne è un esempio il nome del re dei Merina , che alla fine del Settecento unificò sotto il suo potere quasi tutti i regni tribali dell’isola. Si chiamava Ramboasalama; salito sul trono di Ambohimanga, l’antica capitale della dinastia reale del luogo, assunse il nome diAndrianampoinimerina (e potrebbe bastare!),ma il suo nome non ha fine: Andrianampoinimerinandriantsimitoviaminandriampanjaka , che signifi- ca: «la speranza di Imerina»,«il signore caro al cuore dell’Imerina», la regione do- ve abitava l’etnia più numerosa e potente del Madagascar, con capitale Ambohi- manga, la «collina azzurra», la più bella e alta collina dei dintorni. Anche dopo che per ragioni politiche la sede del governo dell’isola fu trasfe- rita adAntananarivo (un altro bel nome scioglilingua, che significa «città dei mil- le», con riferimento ai mille guerrieri radunati da reAndrianjaka, fondatore del- la città), l’antica capitale Ambohimanga rimase una sorta di luogo sacro inter- detto agli stranieri. Sette grandi porte proteggevano l’inaccessibile cima della collina, sulla quale sorgeva il palazzo reale del potentissimo re Andrianampoini- merina. A lato di una di queste porte, la principale, un enorme masso, piatto e rotondo,al primo segnale di pericolo veniva fatto rotolare davanti all’ingresso del palazzo reale da una quarantina di schiavi. M a torniamo al linguista piuttosto sprovveduto, che non riesce a memorizza- re subito determinate parole e tantomeno una frase compiuta, perché non ne comprende il meccanismo. I libri di linguistica scrivono che la lingua malgascia appartiene alla grande famiglia delle lingue austronesiane. Il suo parente più pros- simo è l’idioma parlato nell’isola indonesiana del Borneo meridionale, il maanjan , ma la sua famiglia è assai estesa, va dall’Oceano Pacifico all’Oceano Indiano. È una lingua agglutinata, che, invece di flettere nomi e verbi, aggiunge alla radi- ce verbale o nominale, ossia a verbi o parole, un certo numero di prefissi, suffis- si e in alcuni dialetti anche di infissi, in modo da significare con queste aggiunte ciò che le lingue flessive, come per esempio il latino, esprimono le parti variabili del discorso mediante le desinenze della coniugazione o della declinazione. Questo significa che la radicale di una parola o di un verbo varia a seconda del- l’aggiunta di elementi linguistici che si uniscono alla radicale, senza tuttavia fon- dersi completamente, in modo da lasciare riconoscibili le forme dei componen- ti la parola o il verbo,proprio come se le parole fossero un atomo, cui si legano altri ato- mi, i quali nella loro combi- nazione producono nuovi e- lementi chimici, o, più a terra a terra se volete, come se fossero il tronco di un albero che per vivere ha bisogno di rami e foglie, altrimenti mo- rirebbe. Palazzo-fortezza del re Andrianampoinimerina (1788-1810) sulla collina regale di Ambohimanga presso Antananarivo.

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