Missioni Consolata - Febbraio 2009

MISSIONI CONSOLATA MC FEBBRAIO 2009 47 E proprio l’elemento religioso sembra essere un forte collante per la comunità ivoriana, per la stragrande maggioranza di fede musulmana. «Siamo ormai abitua ti a vedere, in occasione delle fe ste, le donne ivoriane nei loro ve stiti tradizionali dai colori sgar gianti spiega Elda Gottero . Ma da qualche tempo a questa parte hanno cominciato a fare la loro comparsa anche i veli islamici. Che prima, almeno a Dronero, non esi stevano. Mi dicono che la compo nente religiosa in Italia è molto più accentuata che al loro paese. Per ché la stragrande maggioranza delle donne in Costa d’Avorio non ha mai messo il velo. Molte di loro arrivate a Dronero, dopo qualche mese, cominciano a metterlo». Gli ivoriani a Dronero sono in co stante aumento, e il comune con tinua a ricevere iscrizioni di stra nieri all’anagrafe. I cambiamenti in paese si notano, secondo la pro fessoressa. Anche se in realtà, tol to il call center del signor Bakary Dembelé in centro paese, non esi stono ancora esercizi commercia li o attività gestite da ivoriani. «A vevo 19 anni quando son partito da Abidjan, in Costa d’Avorio. Ho preso un aereo e sono venuto in Italia per trovare lavoro, perché da noi era impossibile campare. La scelta è stata casuale, non cono scevo l’Italia, ma era il paese più comodo da raggiungere tra quelli in cui non c’era bisogno di visto d’entrata». Bakary Dembelé, 37 anni, spo sato con tre figli, racconta la scel ta più importante della sua vita se duto al bancone del call center aperto nel centro di Dronero nel 2003. «Ad Abidjan ho studiato presso la scuola coranica e in se guito ho cominciato quella france se. Sono partito prima di finire il percorso di studi, e arrivato in Ita lia, trascorsi i primi tre mesi con un permesso di soggiorno da turista, sono diventato clandestino». Il primo periodo di residenza in Italia il signor Dembelé l’ha passa ta a Napoli, dove un gruppo di con nazionali gli ha trovato un lavoro in nero. «Dopo qualche anno sono andato a lavorare a Cuneo ricor da l’ivoriano , mi sono regolariz zato, e sono tornato ad Abidjan per sposarmi». Bakary Dembelé oggi, oltre ad aver aperto con la moglie il call center , è operaio presso una ditta metalmeccanica di Dronero, che realizza parti per veicoli speciali Fiat. «Da quando sono nati gli ulti mi due figli non siamo più tornati in Costa d’Avorio spiega l’ivoria no . I parenti li sentiamo per te lefono e le notizie le vediamo al computer o in tv con la parabola». Bakary non nasconde che qual che volta, dopo una telefonata con un parente, viene preso dalla no stalgia: «La cultura italiana mi pia ce molto, ma è come se stessi vi vendo in un universo parallelo spiega : mi manca il mio paese na tale, la mia terra, ma quando ci va do, dopo pochi giorni mi viene la nostalgia dell’Italia. Perché ormai in Costa d’Avorio è tutto cambia to. Capita anche agli italiani che vi vono per un po’ in Costa d’Avorio, quando tornano in Italia hanno problemi a reintegrarsi. E lo chia mano mal d’Africa...». Non più ivoriano, non ancora ita liano. Il signor Dembelé si sente or mai un «senza patria». «Sicura mente l’accoglienza in Italia per noi è stata buona spiega l’ivoriano . Dronero è uno dei pae si della provincia di Cuneo con più extracomunitari: gli ivoriani nella zona oggi sono quasi un migliaio, e dal 1990 al 2008, in concomi tanza con la crisi politica del no stro paese, sono praticamente rad doppiati. Siamo davvero tanti, e ca pita a volte di trovarsi a cena con famiglie di Dronero. Mi sembra un sintomo di buona integrazione». Anche se, fa capire Bakary, gli in contri «misti» non sono certo la re gola. E i membri della comunità lo cale ivoriana continuano a trovarsi tra loro in occasione delle feste tra dizionali o religiose. Inoltre la mo glie Tagarigbé Dembelé «parla me no l’italiano spiega il marito , per ché essendo una mamma con tre figli ha meno tempo per badare al l’integrazione. Per lei è dura, non ha i parenti vicini e, anche se io cer co di fare la mia parte, non è faci le. Perché i figli danno la felicità ma sono anche un bell’impegno...». C on due lavori, tre figli e tanta voglia di migliorare la loro condizione perché, dice il ca pofamiglia: «Ho sempre la tenden za a crescere. E se mi viene inmen te un’altra attività come quella del call center per soddisfare nuove esigenze dei migranti, la farò». La famiglia Dembelé ha sicura mente dovuto affrontare grossi cambiamenti. «In Africa vivi in un altro mondo, dal cibo ai compor tamenti, ai rapporti continua Bakary . Se sei abituato a vivere qui, giù ti trovi malissimo, ma se in Africa ci sei nato e cresciuto te la “fai andare”. Da noi c’è più il senso dell’amicizia, mentre in Italia sono tutti più distaccati a causa della vi ta frenetica. Ma se si parla ad esempio di sanità, non c’è parago ne. In Costa d’Avorio la sanità pub blica è pessima». Il vero grosso problema per la comunità ivoriana, come per qua si tutti gli immigrati extracomuni tari sul nostro territorio nazionale, è quello della burocrazia: «Per fa re un documento valido tre mesi chiedono un sacco di cose e lo aspetti anche un anno spiega Bakary . E se ti chiamano per un la voro vogliono il permesso di sog giorno, che se non ti è ancora arri vato ti fa perdere l’opportunità». Ma nonostante tutto, la famiglia Dembelé è ormai sicura della scel ta fatta: «Penso di aver fatto la scel ta giusta spiega il capofamiglia . Il nostro futuro è questo. I miei fi gli stanno crescendo qui, e se de cidessimo di rientrare per loro sa rebbe davvero difficile. C’è qualche mio connazionale che alleva i figli in Costa d’Avorio presso i parenti. Ma io penso che loro debbano sta re con i genitori, e un domani ave re una doppia cittadinanza. Che è sempre una cosa in più: imparano la cultura italiana a scuola e quella ivoriana da me e mia moglie». ■ Manifesto in più lingue del programma della scuola di italiano.

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