Missioni Consolata - Dicembre 2008
MISSIONI CONSOLATA MC DICEMBRE 2008 45 l’arrivo dell’inverno potrebbe di- venire utile. Per quanto riguarda l’igiene per- sonale, la Caritas si occupa di di- stribuire del materiale arrivato so- prattutto dalla Polonia. Ma contai- ners possono arrivare anche da congregazioni religiose, fondazio- ni, privati. Mancano, soprattutto, pannolini per bambini, detersivo, prodotti per l’igiene. Quando vengono distribuiti que- sti prodotti si assiste a delle scene Molti tra questi tentano di spac- ciarsi come «nuovi» profughi nella speranza che la loro condizione possa migliorare. Fortunatamente, l’aggettivo non è scelto a caso, la stragrande mag- gioranza dei 15 mila iniziali di quest’ultimo conflitto sono torna- ti a casa; a molti di loro la sorte non ha voltato del tutto le spalle: nessun lutto, nessun saccheggio e la casa ancora in piedi. I restan- ti ventimila invece sono persone sul cui telefonino appaiono mes- saggi come: «Ti abbiamo appena abbattuto la casa col bulldoozer, bastardo georgiano. Non tornare mai più». Sono gli sfollati dalle due regioni ribelli, Abkhazia e Sud Os- setia. E siste l’orrore e abita da queste parti. Come fronteggiare que- sta situazione? Come lavorare nel caos totale? Chi comanda? Chi esegue? Chi ruba e chi no? Soprattutto ora che i media in- ternazionali se ne sono andati, la Georgia è tornata a essere uno sco- nosciuto paese incastrato, perso chissà dove nel mondo. Inizialmente il governo del colo- rito presidente georgiano Saaka- shvili, un ragazzone che ama af- facciarsi dai balconi per arringare le folle, ha dato ordine di aprire scuole e asili per dare un tetto ai profughi. Sul chi dovesse dare as- sistenza materiale invece è tuttora un mistero. I municipi in linea teo- rica si occupano del cibo. Se un profugo è «fortunato» e ca- pita in una scuola dove copre il ser- vizio la Caritas, mangia come al ri- storante, con qualità e quantità sorprendenti. Se invece gli va stor- to e il rancio lo porta il camioncino del comune spesso si tratta di: pa- ne (un chilo ogni dieci persone), pacchi tipo «razione k» dell’eserci- to americano (disgustosi), oppure cibo in scatola della mezzaluna rossa (ancora peggio). Questo pro- voca tensioni e frustrazioni; il sen- so di sfascio imminente cresce e genera una sfiducia contagiosa. E ntrando in ogni scuola si no- tano subito mucchi enormi di vestiti: sono tutti regalati dal- le persone che vivono nei paraggi. Roba lisa e vecchia, ma che con vile. In tutto il paese un sistema mafioso ben radicato alimenta traf- fici di ogni genere. Predoni sono li- beri di girare per villaggi ormai abi- tati solo più da vecchi. La chiesa or- todossa georgiana, diffidente e aggressiva, non esita a dichiarare da che parte Dio in persona si piaz- za sul campo di battaglia. Questa purtroppo è la Georgia di oggi. Una nazione con paesaggi spettacolari, tradizione e cultura, ma che ha avuto la malaugurata sorte di entrare in guerra con la Russia. Un paese che assomiglia tanto a un campo di battaglia, che ospita conflitti per interessi altrui. In questo delirio nei prossimi mesi si dovranno assistere almeno ventimila profughi stanziali, che si aggiungono agli oltre duecento- mila che dal 1991, anno del primo conflitto, vagano per il paese. V OLONTARI DI TUTTO IL MONDO Gara di solidarietà S e non fosse per l’apporto dei vo- lontari la situazione dei profughi sarebbe invivibile.Le grandi organiz- zazioni comeUnhcr,CroceRossa,Uni- cef,ecc.,senzal’apportodeisingoli,lo- cali enon, semplicementenon riusci- rebbero a mettere in pratica quanto espressosuiquintalidicartachecom- pilano. Creare liste, scaricare camion, spargere ghiaia, guidare un trattore, tradurre, sono tutti compiti affidati a volontari chespesso ricevono in cam- biounapacca sulla spalla. In particolar modo sono presenti piccole Ong locali che spendono de- naroproprio, recuperandolomagari attraverso donazioni personali di funzionari Onu che lavorano nel campo, giornalisti, volontari che ar- rivano da tutto il mondo e si aggre- gano. Nelle scuole si incontra di tutto: scienziati della Nasa che usano le fe- rie «per dare una mano», giocolieri francesi, pensionati italiani arrivati con laborsa stracaricadi latte inpol- vere. Tanti.Così numerosi da risulta- re indispensabili talvolta.Ma spesso si incontranopersoneche,giuntesul posto,nonsannobene cosa fareevi- vono condolore la loro situazione di inattività. Ai volontari locali è invece spesso affidato il compitopiù ingrato: seda- re gli animi all’interno dei campi di accoglienza. Scoppiano liti furiose per una bacinella e ancor di più per una branda. È quindi necessario che persone locali tentino di sedare gli animi, spiegando il perché di molti dolorosi «no» che agli occhi di un profugo che ha perso tutto sono in- comprensibili. Tuttoquestosforzoèatempo, non durerà per anni. Una famiglia del villaggio di Shindisi rifugiatasi nel campo di accoglienza per profughi.
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