Missioni Consolata - Dicembre 2008

MC DICEMBRE 2008 35 manità intera fino ad offrire la sua vita «perché (...) non per- da nulla di quanto egli mi ha dato, ma (...) lo risusciti nell’ul- timo giorno» (Gv 6,39). A questo riguardo nella scena della passione, in modo e- splicito Matteo e in modo più implicito, come è suo costume, l’evangelista Giovanni giocano sul significato dei nomi ara- maico-ebraici per esprimere il senso profondo degli avveni- menti. Pilato chiede alla folla urlante che scelgano chi libera- re tra «Gesù, chiamato Cristo» [cioè il Bar-Abbà , Figlio unige- nito del Padre ] e «Barabba» [cioè il bar-abbà in aramaico] che significa figlio del padre/papà (cf Mt 27,17; Gv 18,40). Gesù per salvare i «figli minori», cioè noi, non esita a dare la sua vita fino alla morte; mentre il fratello maggiore della parabola vuole la morte del fratello minore. Per Lc il figlio «anziano» è l’anti-Cri- sto, il vero figlio di Adam, che vuole usurpare per sé l’albero della cono- scenza del bene e del male (cf Gen 3,2-6), escludendo dal suo oriz- zonte tutti gli altri fratelli (cf Gen 4,9). Sta qui la natura del peccato del figlio anziano: essa consiste nel- la «solitudine» della sua vita, che e- gli pretende di vivere da sé e per sé, senza padre e senza fratello. Egli vive da solo, cioè per se stes- so nell’abisso della grettezza, fuori da ogni parvenza di comunità e di relazione. Isolato nel suo egoismo, trasuda rabbia, odio e morte. Il suo peccato è più grave di quello del fra- tello minore che, anche andando con le prostitute (cf Lc 15,13.30), in qualche modo cercava una parvenza di relazione e di co- munione; in modo certamente sbagliato, ma anche «in un paese lontano» (Lc 15,13) non visse mai da solo. Q UESTO TUO FIGLIO .... QUESTO TUO FRATELLO Il figlio maggiore rinnega perfino il fratello (v. 30), che lo i- dentifica solo come figlio di suo padre: «Questo tuo figlio». Il padre si rende perfettamente conto e risponde (v. 32) ripor- tandolo a un livello profondo di affettività: «Questo tuo fra- tello». Per il figlio primogenito, il fratello «ha mangiato con le prostitute la tua vita (= del padre)»; per il padre il figlio mi- nore, invece, «era morto ed è tornato in vita»; per l’egoista conta il patrimonio, per il padre la vita salvata. C’è nella scrittura un altro tentativo simile a questo, quan- do, dopo il peccato d’idolatria compiuto da Israele che si è fabbricato il vitello d’oro, Mosè sale a Dio per intercedere il perdono. Dio ripudia il suo popolo e cerca, solleticando la va- nagloria, di circuire Mosè per ricominciare una storia nuova, con persone nuove, con esiti diversi. Nelle parole di Dio I- sraele diventa il popolo di Mosè: «Allora il Signore disse a Mo- sè : “Và, scendi, perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto , si è pervertito”» (Es 32,7). Mosè non ca- de nel tranello e rimanda a Dio la responsabilità della salvez- za dall’Egitto: «Mosè supplicò il Signore, suo Dio, e disse: “Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande forza e con mano potente?”» (Es 32,11). L’autore conclude lapida- riamente che «il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo» (Es 32,14). Di fronte alla fermezza della verità, anche Dio si piega e ab- bandona l’ira della morte, ma non il fratellomaggiore della pa- rabola lucana, che resta chiuso nelle spire della morte sua e degli altri. Non sappiamo come va a finire, perché la parabo- la si conclude con le parole del padre che rimanda il figlio maggiore alla sua responsabilità di primogenito. Egli però non risponde e Lc lascia il lettore con il sapore della prospet- tiva che almeno il figlio minore è salvo, al sicuro, in casa, in at- tesa che il padre rientri. La conclu- sione è aperta: forse convertito dal- le parole del padre, il figlio anziano è entrato anche lui nella festa della risurrezione; ma forse, e più plausi- bilmente, ha sbattuto la porta e se ne è andato, maledicendo il padre che si è perso dietro il figlio minore. «I O SARÒ SEMPRE CON TE » Alla dichiarazione del maggiore che si dichiara non figlio, ma «schia- vo» (Lc 15,29), il padre risponde (Lc 15,31) con parole che manifestano la grandezza abissale della pater- nità: «Figlio, tu sei sempre con me». Bisogna fare attenzione a questa ri- sposta del padre che non sembra così ovvia come potrebbe apparire. Il padre non dice di essere lui «sem- pre con il figlio» perché egli non ha mai messo in questione o in dubbio la propria paternità. Al contrario, è il «figlio» che non «deve» dimenticare di «stare sempre col padre» perché, accecato da- gli interessi materiali, ha perso di vista anche la presenza del- la paternità. Quale tragedia si consuma tra questi due uomini! Una pa- ternità sempre presente è misconosciuta, mentre una frater- nità mai condivisa viene espulsa. Un padre tesse le relazioni vitali tra i figli e uno (il minore) lo uccide e l’altro (il maggio- re) lo uccide e seppellisce. a) Nell’AT, i patriarchi Nell’AT, l’espressione «io sono/sarò con te» indica la prote- zione e la familiarità/vicinanza che Dio ha con i patriarchi: A- bramo (Gen 21,22), Isacco (Gen 26,3.24), Giacobbe (Gen 28,15); con Mosè (Es 3,12), con Giosuè (Gs 1,5.9) nella prospettiva di una alleanza di amore filiale e paterno. Dio si prende cura di coloro che chiama e non li abbandona alla so- litudine della disperazione. Parlando il linguaggio della «vicinanza», il padre tenta di ri- mettere il figlio, che si è perduto senza mai muoversi da casa, nella scia dei patriarchi e reinserirlo nella trama della salvez- za che si fa storia, ricordandogli che non ha motivo di sentir- si solo, perché avrebbe dovuto sentire la presenza paterna. Invece il figlio maggiore, pieno di sé, abitato solo da interes- si materiali, non solo non ha percepito la presenza del padre, www.paoloFarinella.eu Storie di Mosè (particolare della porta del battistero di Firenze, di Lorenzo Ghiberti).

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