Missioni Consolata - Dicembre 2008
14 MC DICEMBRE 2008 ISRAELE - PALESTINA hanno, secondo voi,queste orga- nizzazioni e queste persone, in I- sraele? Solera: «Ametà settembre di que- st’anno, ho incontrato Gideon Levy a Tel Aviv e Amira Hass a Ramallah, e ho posto loro la stessa domanda. Questi movimenti sono l’anima criti- ca, la parte più sana della società ci- vile israeliana che rifiuta di cadere nella logica dominante di disuma- nizzazione dei palestinesi e di com- pressione dei valori e delle libertà ci- vili all’interno di Israele.Certo sono unaminoranza,ma unaminoranza necessaria, che rifiuta di parlare di pace senza giustizia.Debbo anche ri- conoscere, tuttavia, che la frustrazio- ne e il pessimismo si sono accumula- ti in questi anni anche tra queste vo- ci coraggiose.Gideon Levy riceve continuamenteminacce verbali dal pubblico ebreo israeliano, e questo logoramento indebolisce anche lo spirito di un giornalista come lui.A- mira Hass, che continua a vivere a Ramallah, è ancora più pessimista sul livello di apertura dei suoi concitta- dini verso un dibattito franco sulle cause profonde della crisi israelo-pa- lestinese, e si aspetta un ciclico ritor- no alla violenza,quasi che solamen- te la sofferenza possa scuotere le co- scienze. Durante lo stesso viaggio, ho incontratomolte delle organizza- zioni israeliane che lottano contro l’occupazione.Tutte hanno segnala- to il rischio che alcuni settori del po- tere israeliano cerchino di“normaliz- zare” i rapporti israelo-palestinesi anche attraverso iniziative della co- siddetta società civile. La“normaliz- zazione” è una parola che non piace alle organizzazioni anti-occupazio- ne, e l’unicomodo per evitarla è ave- re propositi chiari ed espliciti ed a- zioni coerenti con essi,perché la “normalizzazione”è percepita dai palestinesi come un tentativo di pa- cificare senza giustizia.Oggi come oggi,queste organizzazioni sono in difficoltà anche logistica, e richiedo- no il nostro sostegno politico, civico e anche finanziario. Il loro successo starà nella capacità di creare spazi “binazionali”in cui ebrei israeliani e arabi lavorino insieme per un’alter- nativa alla politica di segregazione (come fanno ad esempio Parents’ Circle e Combatants for Peace). La lo- romissione consiste nel continuare a protestare sui cantieri del Muro e nel sensibilizzare israeliani e palesti- nesi sulla necessità di trasformare il loromodo di pensare il conflitto. Queste organizzazioni sono acco- munate da una visione critica del processo di pace e dell’iniziativa di Annapolis (Usa),del novembre 2007; credono che le parti che negoziano siano deboli e delegittimate di fron- te all’opinione pubblica, e vogliono lavorare su un terreno più ampio che quello dell’opposizione alla costru- zione degli insediamenti o del Muro di separazione.Ovvero, sullamemo- ria, sulla pianificazione territoriale al- ternativa, sulla demilitarizzazione della società, sugli stereotipi cultura- li, sulla preservazione delle risorse naturali come l’acqua, e soprattutto sulla formazione di un pensiero criti- co tra le persone.Gideon Levymi di- ceva:“La società israeliana ha biso- gno di uno scossone (breakthrough) emotivo”.Per questo, il lavoro corag- gioso di queste organizzazioni che alcuni israeliani vorrebbero bollare come“traditrici della patria”è così importante». Capovilla: «Io credo che la loro pre- senza incida più di quello che vedia- mo. Mons. Sabbah risponde a questa domanda puntando lo sguardo sulle future generazioni. Speriamo che es- se possano superare i blocchi del passato e aprirsi alla dignità di tutti gli esseri umani e al rispetto dei dirit- ti civili». Violenza e nonviolenza in Palestina Il tema della «resistenza nonvio- lenta» è caro amolti cristiani emu- sulmani impegnati per la giusta soluzione alla causa palestinese,e mons.Sabbah ne parla ripetuta- mente nel suo libro. I villaggi pale- stinesi di Nil’in e Bil’in,ma non so- lo, ne sono un coraggioso esem- pio. Che cosa ne pensate? Solera: «È sicuramente una strada da percorrere, e l’esempio di Bil’in, dove tutti i venerdì,da tre anni,gli a- bitanti del piccolo villaggio palesti- nese di Bil’inmanifestano contro la costruzione del Muro è straordinario. Tuttavia, credo che non possa essere esclusiva.Comemi diceva Molly Ma- lekar, direttrice dell’associazione di donne israeliane Bat Shalom che la- vora per una giusta riconciliazione, i soldati del suo paese hanno picchia- to pure lei durante unamanifesta- zione non-violenta contro il Muro. Ovvero, il messaggio di Malekar era: “Non dobbiamo illuderci che la pra- tica non-violenta possa essere suffi- ciente a debellare lamacchina del- l’oppressione e a indebolire la forza militare e la volontà politica israelia- na”. Condivido questa preoccupazio- ne. Credo che si debba simultanea- mente lavorare alla costruzione di un pensiero critico e alternativo den- tro la società israeliana.D’altro lato, non possiamo neppure negare il di- ritto alla resistenza dei palestinesi, che potrebbemanifestarsi anche in modo armato, sempreché rispettino i canoni del diritto internazionale, che richiede, ad esempio,di non coinvolgere civili e inermi in even- tuali scontri o azioni di difesa. Se da un lato dobbiamo ammettere che la resistenza palestinese non sia stata sufficientemente creativa e si sia de- finitivamente screditata con l’utilizzo dei kamikaze,d’altro lato dobbiamo riconoscere ai palestinesi il diritto al- l’autodifesa, e aiutarli a trovare il mo- do più efficace di esercitarlo, senza ulteriormente alimentare il vortice cieco della vendetta e della ritorsio- ne violenta.Come cristiani è un di- battito difficile,ma necessario.Credo che la cultura della nonviolenza pos- sa contribuire a ridisegnare i termini della legalità dell’uso della violenza stessa, che attualmente poteri statali Michel Sabbah, primo palestinese ad essere nominato arcivescovo e patriarca emerito di Gerusalemme. È stato presidente della Conferenza episcopale dei vescovi latini della regione araba e, nel periodo 1999- 2007, presidente di Pax Christi International. È autore del libro «Voce che grida nel deserto».
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