Missioni Consolata - Dicembre 2008
MISSIONI CONSOLATA Non so se farebbero lo stesso ora, dopo aver conosciuto le conseguen- ze dell’embargo imposto dalla co- munità internazionale,ma questa è un’altra storia.Tra alcuni cristiani vi è apprensione, si teme che unmovi- mento politico di ispirazione islami- ca possamarginalizzare la comunità cristiana e stimolare passioni irrazio- nali anti-cristiane.Ametà settembre, quando stavo a Gaza, incontrai alcu- ni cristiani e feci la stessa domanda: ne ricevetti una risposta insperata, ovvero che non si sentivanominac- ciati da Hamas,ma piuttosto dai con- flitti intestini, e che“Hamas li lasciava in pace”. La conclusione che ne trag- go è che la comunità cristiana soffre certamente dell’animosità Hamas - Fatah, esponendo i suoi membri ai ri- schi della spirale di una lotta politica fratricida,ma che l’emersione di Ha- mas qualemovimento di ispirazione islamica non comporta necessaria- mente l’affermazione di una politica di persecuzione su basi religiose». Capovilla : «Purtroppo, il nostromo- do di percepire e comprendere le va- rie dimensioni del conflitto è spesso lontano dai fatti reali. I cristiani,pur essendo contrari a radicalismi fonda- mentalisti che si scontrano con la na- tura laica della Palestina,non hanno problemi con Hamas. Il loro rapporto non è negativo: ad esempio, le auto- rità di Hamas nella Striscia di Gaza dimostrano rispetto nei loro con- fronti». Il Muro che nasconde la sofferenza dei palestinesi I pellegrini si accorgono del «Muro di annessione»? Solera: «Purtroppo no,nellamag- gior parte dei casi.Anche quando raggiungono Betlemme provenienti da Gerusalemme,passando con l’au- tobus attraverso quell’orrendomuro alto quasi novemetri,non si rendo- no conto di cosa significhi essere cir- condati da una barriera di cemento. Non fanno l’esperienza fisica dell’iso- lamento a cui è sottoposto un qual- siasi cittadino di Betlemme.Purtrop- po, per “accorgersi”del Muro, è ne- cessario viverne almeno un poco le conseguenze,mentre le facilitazioni al transito concesse esclusivamente ai pellegrini contribuiscono a rende- re falsa l’immagine che uno straniero porta a casa della politica di segre- gazione imposta con la costruzione del Muro.Un poco di condivisione della sofferenza della segregazione inTerra Santa non farebbemale ai nostri pellegrini, e lo dico con fran- chezza». Capovilla: «Lo vedono con gli oc- chi, ma non lo percepiscono.Ven- gono subito istruiti dalla guida sui “motivi di sicurezza”sottostanti... Ormai, con questa scusa tutto è possibile: anche chiudere milioni di persone in una grande prigione.Da qualche anno a questa parte, tutti i venerdì, alle 17, a Betlemme, in pros- simità dell’apertura del Muro desti- nata a lasciar passare gli autobus dei pellegrini, un gruppo di suore organizza un rosario.Una preghiera contro il Muro.Nonviolenta. I pelle- grini vengono invitati a scendere dai pullman e a unirsi alla preghiera, ma nessuno lo fa...». Cosa si può fare,o si sta già facen- do, per sensibilizzare l’opinione pubblica italiana, in particolare quella cattolica? Solera: «Si sta facendomolto,ma sempre poco se compariamo gli sforzi di informazione e sensibilizza- zione compiuti con il numero impor- tante di pellegrini che visitano laTer- ra Santa senza un’adeguata prepara- zione culturale e politica.Quando si prega per la pace inTerra Santa, lo si fa spesso con quell’astrattezza e neutralità che rivela unamancanza di conoscenza della reale quotidia- nità delle comunità cristiane di Terra Santa.Credo che un buonmodo di pregare per la pace sarebbe quello di gemellarsi con una dellemoltepli- ci parrocchie della Palestina, a co- minciare da quelle più isolate, come quelle di Gaza o di Nablus. In altre parole, vedo necessaria una campa- gna di“adozione”delle parrocchie palestinesi da parte delle nostre e un lavoro pubblico che non esiterei a definire di contro-informazione sui cristiani di quella regione». Capovilla: «È importante preparare i pellegrini che partono, attraverso un lavoro paziente, spirituale e an- che storico.Questa“apertura degli occhi”è un doveremorale e spiritua- le, pastorale, ancor più doveroso per noi, come cristiani». Ebrei e israeliani «contro l’occupazione» In Israele ci sono gruppi,movi- menti, singoli cittadini ebrei che sostengono e lottano a fianco dei palestinesi.Sono gli «israeliani che chiedono giustizia»: Parents’ Circle, Icahd di Jeff Halper, i Refu- seniks, i Naturei Karta,Bat Sha- lom, giornalisti come AmiraHass e Gideon Levy, storici come Ilan Pappe e tanti altri di cui i nostri media non parlanomai.Che peso MC DICEMBRE 2008 13 Bambini palestinesi di una scuola cristiana di Betlemme.
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