Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2008

MONOGRAFIA / Diritti & rovesci al mese affrontanomezza giornata di cammino per prendere unmezzo e seguire dei seminari sanitari a Muyupampa: non hannomedici e vogliono preservare la loromedicina tradizionale per curare i figli.Attra- verso le proprie istituzioni - le capita- nerie e l’Apg, l’ Assemblea del popolo guaraní , nata nell’87 e riconosciuta anche dallo stato - e,quando è pos- sibile, appellandosi ad organismi in- ternazionali, cercano di avere una voce. Superata, e forse non del tutto, la maledizione dei conquistadores , ora devono le seconde colonizzazio- ni, quelle economiche dellemultina- zionali. Un grave pericolo per loro viene dall’acqua: il Rio Desaguadero, usato dalle industrieminerarie per gli scavi a cielo aperto, è gravemente inqui- nato di arsenico e piombo. L’Orga- nizzazione degli stati americani (Osa), assieme all’Onu, ha presentato un drammatico documento - il « Dia- gnóstico Ambiental del SistemaTitica- ca-Desaguadero-Poopó-Salar de Coi- pasa » (Sistema Tdps) - che imputa senza dubbi ai quantitativi di sostan- ze nocive nelle acque dei fiumi Pilco- mayo e Desaguadero,moltemalat- tie e ritardi mentali registrati fra a- dulti e bambini guaraní che vivono lungo i fiumi.D’altronde il pesce,di cui per tradizionemangiano anche il cervello, è l’alimento principale.A In- ti, c’è una bambina, Patty: non parla e non vede bene, è la prima bambi- na non perfetta dei guaraní.Per que- sto la isolano un poco.Che sia stata l’acqua, ci dice l’avvocato Zarate - ma anche l’équipe di medici ed in- fermieri della FundacionYangarako che incontriamo per strada - è asso- lutamente probabile. La famigliaMolino, schiavi di padre in figlio Tornando indietro attraversiamo i possedimenti Reynaga.Ci rechiamo a casa di Ramon, una villa coloniale sul tipo di Rossella O’Hara. Lui si fa negare, anche se lo vediamo che ci scruta dall’alto, sul balcone. Conosciamo la famiglia Molino, che vive in una baracca accanto alla casa. Il capofamiglia si chiama Mo- desto. Da due generazioni lavora per i Reynaga. Sette giorni alla settima- na. Viene pagato solo a fine anno. I calcoli lo vedono sempre in debito. Gli dicono che prende il minimo sin- dacale, 20 pesos al giorno (due euro), da cui vengono detrattemolte spe- se che Modesto non capisce.Capisce però che nonmangia abbastanza, che ha una casa che è da animali, che i suoi figli non avranno un futuro diverso.Che quell’enorme villona che fa ombra alla sua piccola barac- ca di legnomette in ombra tutta la sua vita e non gli lascia nemmeno uno spiraglio di luce. È analfabeta. È stanco.Ha uno sguardo così amaro che ci si vergogna a chierdergli qual- siasi cosa.Non siamo abituati ad una tale assenza di luce: «Noi non speria- mo più in niente»,dice. L’avvocato Zarate ci aveva spiega- to come i salari - quando ci sono - o- scillino fra i 3 pesos per i bambini e i vecchi, 5 per le donne e 7 per gli uo- mini. La moglie di Modesto serve in casa: lei è da tre generazioni che si trova sotto i Reynaga. Lei e il marito sono stati il «regalo» di nozze della signora Reynaga al figlio Ramon. I- van, il figlio di 13 anni, sta lavorando col machete nel campo di canna da zucchero.Ha già lo stesso sguardo del padre. «Sono più felice così - ci racconta - da piccolo dovevo servire a tavola e odiavo farlo». La bambina di 7 anni è invece nascosta dietro la staccionata.Con la promessa di un lecca-lecca butta fuori il visino: è de- vastato da una malattia della pelle, non ha cure, vive nascosta. I Molino ci dicono che non vedono un futuro per i propri figli. Abbiamo raccolto più di venti in- terviste sullo stesso tenore: non c’è assistenza sanitaria, chi s’ammala non viene pagato.Uno, che stava ta- gliando legna lungo la strada, ci rac- conta di aver dovuto vendere il suo unicomaiale,perché la madre si era ferita ai piedi. Lei aveva continuato a lavorare: infezione, febbre.Da sette mesi era a casa.Hanno dovuto chia- mare il medico. E addio al porco. La sudditanza psicologica poi, è totale: quel «papà emamma» con cui chiamano i propri negrieri lo di- mostrano. Ogni lavorante dispone di qualchemetro quadrato di terra,mai sufficienti per sfamare la propria fa- miglia. Il sistema è perfetto per im- pedire qualsiasi forma di autonomia: nessuno potrà mai guadagnare ab- bastanza per andarsene. Sono pri- gionieri, anche se i loro «datori di la- voro» non ammettono colpe. Fino ad oggi poi, semplicemente non è mai successo che qualcuno di loro fi- nisse in tribunale. Le incredibili sfide della nuova Costituzione Mentre nel mondo contadino de- gli altipiani, soprattutto attraverso la riorganizzazione sindacale dei co- caleros (i raccoglitori di coca di cui anche l’attuale presidente Evo Mo- rales è stato sindacalista), il fermen- to politico fra i campesinos era ad un livello avanzato, nell’Oriente bo- liviano era prevalsa l’assenza di for- me di movimentismo organizzato. Nel 1986 i guaraní fondano la Asam- blea del pueblo guaraní (Apg).Dagli anni ’90 la loro presenza nella vita politica del paese comincia ad esse- re più rilevante. Dopo Inti, nella zona di Huacareta almeno altre due comunità hanno deciso per un «ritorno alle origini». Alcune associazioni,ma anche la chiesa, aiuta in alcuni casi a compra- rematerialmente la terra. La Apg è molto battagliera su questioni come la rivendicazione della terra e la di- gnità dei lavoratori, e da molto tem- po c’è l’idea di proclamare il Chaco un’entità territoriale per i guaraní, cosa mai ufficialmente riconosciuta. La nuova Costituzione boliviana, appena approvata, riconosce con forza i diritti e l’autonomia delle po- polazioni indigene e promette una buona redistribuzione delle terre a- gli originari, con una legge referen- daria che pone a 5.000 il tetto di et- tari posseduti da ogni persona: una norma che potrebbe rivoluzionare l’aspetto delle regioni agropecuarie del paese.Ma l’omertà e la forza fi- nanziaria che sono le fondamenta della prigione che da secoli tiene i guaraní lontani dai loro sogni di li- bertà, sono dure a morire. « Aipota aiko chepianguive cheyamba e», «Vo- glio essere libero, senza padrone», dice unmotto in lingua guaraní. Ed è unmotto antico. ■ MC OTTOBRE-NOVEMBRE 2008 75 (1) La nostra delegazione era composta dall’associazione Yaku , che si occupa di cooperazione internazionale,damembri della FundaciònAbril , la fondazione lega- ta alla Coordinadoradel Agua y laVida di Cochabamba,da un paio di giornalisti e successivamente da un avvocato bolivia- no per i diritti umani.

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