Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2008

64 MC OTTOBRE-NOVEMBRE 2008 CINA to pericoloso, le pattuglie di militari e poliziotti antisommossa passano a ritmo regolare per l’affollato mer- cato, i lunghi bastoni e le divise ne- re incutono timore.Davanti al ven- ditore di medicine tradizionali uigu- re Dilshat mi fa una confidenza: vuole andare via,ma non ha il pas- saporto. «Per noi uiguri avere il pas- saporto è molto difficile: i sospetti di terrorismo ricadono su tutta la po- polazione e le spese da sostenere sono troppe», continua, parlando con un sorriso teso e forzato. Il Xinjiang, che gli uiguri chiamano Sahrqi Turkistan ,Turkestan orientale (13), è sempre stato il timore degli imperatori cinesi: oltre la Porta di Giada (14), era da lì che arrivavano i barbari, coloro che non godevano del progresso e della civiltà dell’Im- pero del Centro (15), e scorazzavano sui fortissimi cavalli di Ferghana (16) premendo pericolosamente ai confi- ni del mondo civilizzato. L’area fu a più riprese sottomessa, alcune zone divennero indipendenti nella prima metà del XX secolo,ma fu definitiva- mente domata da quandoMao Ze- dong prese il potere emandò le guarnigioni dell’Esercito di liberazio- ne popolare a controllare i confini e a «coltivare il deserto».Quelle guar- nigioni si sono nutrite di una massic- cia migrazione interna dalle aree po- vere del paese, e sono diventate bingtuan , unità militari, città, stabili- menti produttivi, campi coltivati ge- stiti esclusivamente dagli han e dagli uiguri fedeli al governo centrale. La repressione della minoranza ui- gura si esprime attraverso politiche fortemente discriminatorie: è vietato l’accesso allemoschee ai minori di 18 anni, la preghiera cinque volte al giorno per chi lavora nelle strutture pubbliche, lo studio in lingua uigura nelle università.Nonostante la reto- rica del governo che vorrebbe far credere a una «armoniosa conviven- za tra le diverse etnie», chi non cono- sce il cinese non trova lavoro, chi lo conosce trova i lavori che gli han non vogliono fare (17); la gestione del territorio e delle sue risorse è in mano agli han, e i rappresentanti del governo centrale e regionale dichia- rano apertamente il loro disprezzo per il popolo uiguro, considerato ar- retrato, ignorante e capace solo di coltivare la terra conmetodi anti- quati. Il Xinjiang è la regione dove è maggiore il gap città-campagne: le città sono degli han, le campagne sono uigure. «In seguito alla minaccia terroristi- ca - continua Bequelin - sono in atto campagne di rettificazione, copri- fuochi nellemaggiori città, si proibi- scono le celebrazioni e una serie di altremisure ad hoc» (18). Dang Le, giovane funzionario del governo a Kashgar,dichiara: «Sì, so- nomessi moltomale,ma noi li stia- mo aiutando ad allinearsi con il pro- gresso». È così che questi antichi po- poli sullaVia della Seta hanno davanti a sé un bivio: assimilazione La regione autonoma del Xinjiang è grande più di tre volte la Francia e si trova in una particolare posizione geografica: le suemontagne, le sue steppe e i suoi deserti confinano con India, Pakistan,Afghanistan, Kyrgyz- stan, Kazakistan, Russia e Mongolia, mentre il suo sottosuolo produce il 15%del fabbisogno quotidiano na- zionale di petrolio non raffinato.Po- sizione e ricchezza di materie prime (al petrolio si aggiungano gas natu- rale e uranio) fanno sì che la regione ricopra una peculiare importanza strategica per le autorità centrali e per il futuro dell’intero paese (11). «Sta succedendo qualcosa di mol- to preoccupante - sussurra Dilshat, insegnante di inglese in una scuola privata di Ghuljia,mentre si guarda intorno circospetto nell’affollato mercato della città -. Si vuole tra- sformare la nostra città in un’attra- zione turistica». I suoi occhi azzurri si voltano verso una grande porta in stile centroasiatico, eretta nel 2007 per accogliere i turisti nel Distretto turistico kazanchi (12).Da queste parti parlare con gli stranieri è mol- I l genocidio culturale denunciato dal Dalai Lama in occasione delle rivolte scoppiate inTibet nelmarzo2008ha le stesse caratte- ristichedi quellochestannosubendogli ui- guri del Xinjiang: antiche città ricche di un patrimonioartisticoearchitettonicod’ecce- zione, come Kashgar, Khotan e Turfan, si stannotrasformandoinluoghianonimi ilcui skyline èquellodi tutte le inquinatemetro- poli cinesi.Igrattacieli,lepiazzemonumen- tali elelargheviedi scorrimentohannopre- so il postodelle basse case inpietra e fango con roseti e specchi d’acqua,degli stretti vi- coli edellepiccoleeantichemoschee.Lepo- litichediscriminatorierelativeallalinguaso- nosempredipiùfontedi risentimentoedis- senso tra la popolazione, così come la sinizzazionedellecomunitàautoctone.Que- steultimeresistonoallaprospettivadiunra- pido benessere economico, politica che se- condoPechinodovrebbecontrollareesopi- re il dissenso. Nel mese di agosto 2008, le tensioni etnichenellaregionehannoporta- to a numerosi scontri con la polizia, provo- cando, secondo i dati ufficiali,33morti. Tibet e Xinjiang: due popoli, stesso destino Anziani suonatori uiguri davanti alla porta di accesso della città vecchia di Ghuljia. Pagina accanto: commesse di un grande centro commerciale di Pechino.

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