Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2008

MC OTTOBRE-NOVEMBRE 2008 63 tensi che non hanno cibo, vestiti e si- curezza». Certo i diritti dell’uomo vanno oltre questo, «ma se non si stabiliscono delle priorità allora non si possono avere diritti umani».Que- sto il discorso originario, lo stesso che emerse nel 1947,durante i lavori che precedettero la redazione della Dichiarazione. Quell’anno in piazzaTiananmen «Cosa pensi di ciò che è successo a Tiananmen?», chiedo a Zhigang, stu- dente dell’università di Lingue stra- niere di Pechino. «Il governo ha agito nel modo giusto - risponde -. Il no- stro paese rischiava di finire come è finita la Russia,di disintegrarsi inmil- le pezzi, e quello era l’unicomodo per evitare quella fine». Sollevo un interrogativo, sonomorti in tanti, e «ci saresti potuto essere anche tu al loro posto, tua madre al posto di quella donna che ancora piange,del resto erano studenti, avevano la no- stra stessa età».Mi guarda dritto ne- gli occhi: «Era inevitabile, l’obiettivo del governo coinvolgeva molte più persone di quelle che sonomorte in piazza Tiananmen, abbiamo rischia- to che un’intera nazione si trovasse, da unmomento all’altro, allo sban- do. Era il maleminore». Era il 1999, il clima era diverso,da allora il paese è entrato nelWto ( Organizzazione mondiale del commercio ), c’è stata la corsa al benessere nel contesto di un mondo globalizzato, nel frattempo, dalla nuova borghesia e dall’alta so- cietà, da posizioni «coperte» (5) e non, si sono levatemolte voci di dis- senso. Ma,parlando con la gente co- mune, nelle università, si individua una continuità di convinzioni e un incondizionato appoggio all’auto- rità. «Andrai a vedere il passaggio della torcia da Urumqi?» (6), chiedo al te- lefono a Kaiyuan, studente dell’Uni- versità del Xinjiang. «La guarderò in televisione, non ci è permesso uscire - risponde -.Ci sarà tanta folla e la polizia deve controllare la situazio- ne». Unmassacro di civili inermi giusti- ficato con la necessità di preservare l’unità e la stabilità nazionale è vio- lenza pura e sopruso ai nostri occhi di occidentali, così come ci sembra ingiusto la libertà di movimento al- l’interno della propria città sia limita- ta per intere settimane (7).Ma la pro- spettiva cambia non appena le cate- gorie e i valori morali si pongono su piani diversi.Un eloquente detto po- polare spiega lo spirito confuciano: , ning wei taiping gou,bu zuo luanshi ren , che all’incirca suona così: «Meglio es- sere un cane in tempi pacifici,piutto- sto che un uomo in epoche turbo- lente». «Nel mio lavoro di tutti i giorni posso constatare che ciò che per noi sono i diritti umani - spiega Nicholas Bequelin, analista e ricercatore sulla Cina che lavora per Human Rights Watch da Hong Kong - lo sono an- che per loro.Tutti vogliono avere ca- sa, istruzione, opportunità, nessuno vuole ritrovarsi la polizia in casa. Quello di cui c’è bisogno è un siste- ma legale efficiente e il rispetto dei 14 trattati internazionali che la Cina ha firmato.Certo a livello teorico le diverse tradizioni culturali hanno da- to vita a diverse articolazioni del pro- blema, e il dibattito sui valori in Asia è ancora aperto» (8). Gli uiguri del Xinjiang: stranieri in patria La città di Yining (Ghuljia, in lingua uigura) si trova a due ore di auto dal confine con il Kazakistan: appena fuori dalla repubblica centroasiatica, entrati in territorio cinese, un folto gruppo di persone si accalca ai can- celli che circondano gli edifici del confine, e non appena gli unici due stranieri vengono individuati, tutti, spintonando, cercano di avvicinarli. Sono sicuramente tra i pochi che possono permettersi un taxi. Siamo finalmente entrati in Cina.Ma non è quella Cina che ci si aspetterebbe: barbe e doppa (9), fisionomie occi- dentali, lunghe camice bianche. Sia- mo nella XinjiangUyghur Autono- mous Region (Xuar),dove vivono 8 milioni di uiguri,popolazione cen- troasiatica altaica, una delle 56 etnie della Cina. La strada che porta a Ghuljia è im- mersa tra fertili valli e dolci colline, in lontananza villaggi con le case in fango. Il panorama è interrotto dai baiyangshu , gli «alberi dalla barba bianca» (10), che si rincorrono e svet- tano ai bordi della strada. «L anaturadel regimeautoritarioche governa inCina– scriveVictorMallet sul Financial Times del 23 luglio – farà sì che i Giochi si contraddistinguano per una propaganda nazionalista sulla scia di Berlino 1936».Mentre Elisabeth Eco- nomy, ricercatrice che si occupa di Cina presso il Council for Foreign Relations , si e- sprime in questomodo nel numero di lu- glio e agosto di ForeignAffairs : «Per molti rappresentanti della comunità interna- zionale è diventato impossibile separare due contrastanti narrative: uno sviluppo chemette soggezione e un così povero ri- sultato inmateria di diritti umani e am- biente». Sembra dunque che lemaggiori sfide per Pechino facciano capolino dal fronte in- terno: il futuro del paese e la sua credibi- lità come grande potenza si giocheranno in largamisura sulla capacità delle auto- rità di gestire le «violazioni dei diritti u- mani». Diritti umani intesi come strumen- to diplomatico e nellemani dei vari go- verni per autopromuoversi nel consesso internazionale. Diritti umani: sfida politica o arma? MONOGRAFIA / Diritti & rovesci

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