Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2008

60 MC OTTOBRE-NOVEMBRE 2008 PAESI AFRICANI cose. Poi la straordinaria evoluzione che abbiamo conosciuto grazie alle tecnologie per l’informazione e la comunicazione, grazie a Internet. Tutti questi mezzi hanno ridotto a nulla l’azione della censura: non ha più senso censurare perché la gente riesce comunque ad avere le infor- mazioni». Ma gli operatori dell’informazio- ne, anche se non godono di specifici diritti, sono ancora troppo spesso sottomira. In particolare in certi paesi dal passato (o dal presente) più turbolento. «I giornalisti burundesi possono fregiarsi di essere riusciti a ottenere alcune libertà per informare meglio la popolazione.Questo si nota dal ri- fiuto categorico di dire no ogni volta che il potere tenta di mettere la mu- seruola alla stampa.Ma questo ha fatto pagare un pesante tributo ai professionisti dei media» ci scrive Gabriel Nikundana, reporter burun- dese di esperienza decennale. «Nel 2001 io sono stato imprigionato as- sieme al redattore capo di Bonesha Fmper aver dato la parola all’oppo- sizione armata. La polizia ha confi- scato tutti i miei documenti di viag- gio e la mia tessera stampa per tre mesi». E continua: «Nel dicembre del 2006, quando ero redattore capo della radio Isanganiro, ho dovuto e- siliarmi in Uganda per cinque mesi, mentre il mio direttore è stato in pri- gione per 60 giorni. Senza contare le pressioni alle quali siamo confronta- ti da parte di membri del governo e, soprattutto, dei servizi segreti, che vogliono impedirci di lavorare su in- chieste nelle quali sono implicate le alte autorità». «Quattromesi fa un giornalista della radio nazionale è stato ucciso e un cameraman ferito,ma nulla è fil- trato sull’identità degli assassini». Nikundana ci ricorda come regimi sedicenti democratici, lo siano mol- to poco nella realtà dei fatti: «Nel mese di agosto i presidenti di Rwanda e Burundi hanno ordinato ai giornalisti di non fare domande sui presunti colpevoli di genocidio burundesi e sul conflitto frontaliero tra i due paesi. L’addetto stampa ha detto ai giornalisti “chi osa porre do- mande sarà arrestato immediata- mente”». Misurare la libertà È difficile definire con esattezza quanto in un paese siano rispettate libertà e diritti, in particolare quello di espressione.Non si tratta di una condizione assoluta ma di un grado che può variare dal rispetto totale alla totale violazione. Per questo, al- cune associazioni di difesa dei diritti e della libertà di stampa,monitora- no e verificano la situazione nei vari paesi. Ad esempio l’associazione france- se Reporters sens frontières redige o- gni anno una classifica «mondiale della libertà di stampa» raccoglien- do informazioni sui vari aspetti co- me: gli attacchi diretti contro giorna- listi omedia; il grado d’impunità de- gli autori delle violazioni; il quadro giuridico sulla stampa; il comporta- mento dello stato rispetto ai media pubblici e alla stampa internaziona- le; le limitazioni alla circolazione d’informazione su Internet. Si tenta di valutare anche il grado di auto- censura e le pressioni economiche, sempre più frequenti. La situazione nell’Africa sub saha- riana è dunque piuttosto variegata. Nella classifica mondiale i paesi afri- cani più avanzati sono la minuscola isola Maurizius (25simo posto) a pari merito con la Namibia, seguiti dal Ghana al 29simo. Sono paesi africani in cui la libertà di stampa è maggio- re che in Italia, solo al 35simo posto. Il Sudafrica, sempre ai primi posti di questa classifica, si trova in 43ma posizione.Quest’anno, per la prima volta è un paese africano a fare il fa- nalino di coda: il 169simo è l’Eritrea (vedi articolo pag. 50), preceduta da poco da Somalia, Libia e Guinea E- quatoriale. Media senzamezzi Inmolti paesi del continente, ad eccezione di alcuni casi (Sudafrica, Nigeria, Kenya, ecc. ) sono tratti co- muni il basso livello tecnologico nel settore e la debole formazione degli operatori.Ma anche, e soprattutto, la scarsità di mezzi economici a dispo- sizione e la situazione precaria dei giornalisti.Quest’ultimo fatto rende particolarmente vulnerabili gli ope- ratori dell’informazione, pronti a «vendersi» per poter integrare un magro stipendio di base. Inmolti paesi, poi c’è ancora un quadro legi- slativomolto restrittivo per la stam- pa e su questo associazioni di gior- nalisti in tutto il continente stanno dando battaglia. «L’informazione è un diritto» reci- ta il sotto titolo dell’ Evénement , bi- mensile burkinabè, ma è vero che ancora oggi inmolti paesi africani l’unicomodo per essere informati è «radio trottoire » (radiomarciapiede), piuttosto che giornali, radio e televi- sione. ■ Giornalisti africani ed europei in attesa di poter fotografare i capi di stato al meeting della francofonia di Ouagadougou nel 2004.

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