Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2008

e Oil siano riuscite a produrre sola- mente delle «linee guida» non giuri- dicamente vincolanti. Vale a dire delle mere esortazioni alle imprese multinazionali affinché tengano lo stesso comportamento. L’inefficacia, dimostrata dal diritto internazionale, nel contrastare lo sfruttamento infantile dipenderà forse dal fatto che gli obblighi non riguardano tutti i protagonisti dello sfruttamento? Se il diritto internazionale non funziona, perché non è in grado di imporre anche alle multinazionali di rispettare i bambini, né sa efficace- mente pretendere che gli stati ono- rino gli impegni presi, cosa si può fare? Società civile emultinazionali Una risposta a questo interrogati- vo ci viene dalla società civile.Molte imprese multinazionali, cedendo al- la pressione dell’opinione pubblica, sempre più informata sulla loro con- dotta. Mosse dall’esigenza di ristabi- lire una immagine positiva sul mer- cato, hanno adottato volontaria- mente dei codici di auto- regolamentazione con i quali si im- pegnano, tra le altre cose, a non sfruttare manodopera infantile. Per citarne solo alcune, si sono dotate di un codice Nestlè, Shell, Sara Lee, Warnaco, Fruit of the Loom, Liz Clair- borone, Levi Strauss,Nike, JCPenny. Per l’entità del fenomeno e per l’importanza crescente delle impre- se multinazionali nel contesto eco- nomico internazionale, si può ipotiz- zare che tali codici di condotta pro- ducano essi stessi obblighi giuridici per le imprese. Del resto tale fenomeno non sa- rebbe differente, quale strumento di produzione giuridica, dalla lexmer- catoria (diritto creato spontanea- mente dagli operatori commerciali) la cui obbligatorietà, nell’ambito del diritto internazionale dell’economia, è ormai generalmente riconosciuta. In questo ambito pare essere di cruciale importanza il ruolo dell’Oil, la quale da anni tenta di coinvolge- re le imprese in iniziative volte a promuovere il rispetto del divieto di sfruttamento del lavoro infantile, fornendo loro una consulenza per la redazione dei codici stessi e un controllo esterno sulla loro applica- zione. Contemporaneamente l’Oil sostie- ne e promuove la diffusione di pro- grammi di social labelling (etichette sociali) da parte di organizzazioni di consumatori. Tali programmi si fon- dano sulla convinzione che le deci- sioni adottate da consumatori, pro- duttori, investitori e,più in generale, dai cittadini possono essere influen- zate da unamigliore informazione circa gli effetti che le stesse possono produrre. In definitiva, sono in grado di condizionare il comportamento delle imprese.Una «etichetta socia- le» ha quindi lo scopo di informare il consumatore che il bene che sta ac- quistando è stato prodotto senza sfruttare i bambini.Esso confida nel fatto che questi, consapevole che il suo acquisto non alimenterà tale sfruttamento,preferirà un prodotto provvisto di etichetta sociale. Ricordiamo, tra gli altri, i program- mi di social label promossi da The Body Shop, Levi Strauss, Fifa/Icftu, Rugmark,Abrinq, Reebok, Fair Trade. Tali iniziative, sostenute dall’Oil, partono dalla considerazione che i migliori risultati nel condizionare il comportamento, tanto degli stati quanto dei soggetti privati, si sono raggiunti premiando le condotte positive, piuttosto che sanzionando le condotte negative. E inoltre che l’opinione pubblica può esercitare una pressione importante nel deter- minare la condotta di tali soggetti. È importante il ruolo, anche peda- gogico, svolto dall’Oil sia attraverso la promozione degli stessi diritti, sia con la creazione di sinergie tra go- verni, imprese e opinione pubblica e l’attivazione di programmi di social labelling o l’adozione di codici di condotta volontari. ■ MC OTTOBRE-NOVEMBRE 2008 45 MONOGRAFIA / Diritti & rovesci Niger: campagna contro la malnutrizione nel Sud-Est del paese.

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