Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2008
l’impresa esportatrice ha sfruttato manodopera infantile al solo scopo di arrecare un danno commerciale al paese stesso. Un’analisi che non può non tener conto dei fattori strutturali relativi all’economia del paese considerato. Qualora, poi, fosse possibile rico- noscere l’atteggiamento doloso di uno stato, il quale deliberatamente tollera che sul proprio territorio ven- gano perpetrate forme di sfrutta- mento del lavoro infantile, occorre chiedersi quale effetto produrreb- bero le sanzioni nei suoi confronti e, soprattutto, chi ne sopporterebbe il peso. Sanzioni si o sanzioni no? Può rivelarsi interessante, a questo proposito, esaminare l’efficacia delle sanzioni inflitte dall’Oil, dall’Unione europea e dagli Stati Uniti al Myan- mar. Al termine di un’inchiesta che, dopo aver ascoltato circa duecento- cinquanta testimoni, ha accertato che il Myanmar si è reso responsabi- le di sfruttamento di lavoro infantile forzato e di arruolamento di bambi- ni, l’Oil lo ha sospeso dalla condizio- ne di membro dell’organizzazione con la conseguenza di bloccare tut- te le forme di assistenza tecnica. Analogamente, e per gli stessi mo- tivi, l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno sospeso il Myanmar dal siste- ma delle «preferenze generalizzate» con cui si impegnavano ad importa- re da esso alcuni beni a condizioni fiscali preferenziali.Non vi sono noti- zie di un ravvedimento del Myan- mar che lo abbia indotto a sospen- dere le pratiche per le quali è stato sanzionato. È certo che il reddito an- nuale pro capite dei suoi abitanti è passato da 300 dollari nel 2003 a 225 nel 2004 e 145 nel 2005. Un altro esempio significativo, seppure per altre ragioni, è rappre- sentato dagli sforzi compiuti dagli Stati Uniti per imporre un divieto al- l’importazione di prodotti confezio- nati con l’impiego di manodopera infantile.Gli Stati Uniti non hanno ratificato né la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambi- no, né la Convenzione n. 138 pro- mossa nel 1973 dall’Oil per il divieto del lavoro dei bambini conmeno di quattordici anni. Il pretesto è che tali documenti non fossero sufficiente- di sfruttare i bambini. Esiste, infatti, una competizione tra paesi in via di sviluppo, al fine di attrarre gli investimenti stranieri. È e- vidente come tale forma di compe- tizione sia economicamente, social- mente e politicamente indesidera- bile, dal momento che determina una «gara verso il basso» con costi altissimi per lo sviluppo economico degli stessi paesi. È vero che se gli stati in questione rispettassero gli obblighi internazionali assunti in materia di tutela dei diritti dell’infan- zia, il problema non si porrebbe. Tuttavia, se la reale preoccupazione è quella di disincentivare lo sfrutta- mento dei bambini, diverse conside- razioni ci suggeriscono che resistere alla tentazione di «punire» questi stati rappresenta una strategia più equa, più efficace e, di sicuro,meno ipocrita. Fallita la proposta di inserire la clausola sociale, lo stesso Statuto dell’Omc (al quale hanno aderito 153 nazioni) vieta l’applicazione di ritorsioni commerciali nei confronti dei suoi membri, giustificate dall’im- piego di manodopera infantile nei processi produttivi di beni destinati all’esportazione, a meno che uno stato non riesca a dimostrare che Nei villaggi di molti paesi africani è comune che i bambini frequentino solo i primi anni di scuola primaria. MC OTTOBRE-NOVEMBRE 2008 43 MONOGRAFIA / Diritti & rovesci
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