Missioni Consolata - Settembre 2008
60 MC SETTEMBRE 2008 PERÚ fece aprire.C’erano una macchina fotografica e un impermeabile, cioè due strumenti di lavoro. Ed una stec- ca di sigarette. Io di nuovo sfacciata dissi:“Facciamometà per uno”. Il ca- po accettò.Aprì subito un pacchet- to, mi offrì una sigaretta eme l’acce- se con un fiammifero. Alla fine, ci dissero che se ne anda- vano e che dovevamo non uscire di casa per mezzora». «Quella gringa è stata fortunata» «La sera raccontammo l’avventu- ra agli ashaninka tornati al villaggio. Decidemmo che era opportuno an- darsene a Lima per almeno 15 gior- ni. Perché da una parte potevamo essere accusati dall’esercito di esse- re collaboratori di Sendero, dall’altra i guerriglieri avrebbero potuto tor- nare. Fummo fortunati. Il giorno dopo arrivò un’altra colonna di Sendero, ma questa era molto più dura della precedente.“Dove sta la gringa?”,do- mandarono subito.“È andata a Lima”, risposero gli indios.“È stata fortuna- ta, perché l’avremmo ammazzata e con lei tutti gli altri”. Questa vicenda con Sendero se- gnò però la fine del progetto.Avevo il cuore a pezzi dal dispiacere. Tutta la zona del RioTambo da al- lora fu sotto il controllo di Sendero per alcuni anni.Gli ashaninka furono costretti a lavorare per i guerriglieri. In condizioni simili alla schiavitù, dato che la quasi totalità di loro era contro i senderisti, anche a causa del loro spirito libero e indipenden- te che contraddistingue i popoli della selva e gli ashaninka in parti- colare. Era come mettere un uccello in gabbia. Sopportarono per alcuni anni. Un giorno arrivò nel mio ufficio di Lima, Emilio Rios, capo degli asha- ninka del RioTambo.“Sono venuto per dirti che da ora siamo in lotta ar- mata contro Sendero”. “È un suicidio”, gli dissi subito.Voi non avete armi. “Abbiamo i fucili con cui andiamo a caccia.Abbiamo i nostri archi e le nostre frecce.Ma non possiamo più sopportare.Per convincerci ad ob- bedire ai loro ordini, sono arrivati ad uccidere con il machete le nostre donne incinte. Fanno togliere il feto ed obbligano i familiari a mangiarlo. Fecero anche questo per rompere la loro resistenza. Cominciò allora una lotta terribile, veramente terribile, senza esclusio- ne di colpi (anche fino al taglio delle teste), tra Sendero e gli ashaninka del RioTambo.Però alla fine gli asha- ninka riuscirono a respingere Sende- ro. Fu la sola popolazione indigena, che con le sue sole forze riuscì a vin- cere, a obbligare Sendero ad andar- sene. Fu una pagina eroica di resi- stenza, mai adeguatamente ricorda- ta». Razzismo alla peruviana: «Bianco èmeglio» Nella tua trentennale esperienza peruviana non hai visto il paese di- A questi due, che quasi non parla- vano spagnolo, chiesero:“Ma come vi tratta questa signora?”. Io pensai che si metteva male per me,ma loro risposero:“Bene,bene”. C’era un gruppo di uomini di Sen- dero, molto giovani (avranno avuto 17 anni), che parlavano quechua. Detto per inciso, l’odio degli asha- ninka verso quelli della sierra è rima- sto anche perché loro li associano a quelli di Sendero. Il capo politico,quello che faceva i discorsi,disse:“Noi non rubiamo niente.Accettiamo soltanto delle donazioni”.Mentre parlava, vidi uno dei ragazzi che se ne stava andando con la mia valigetta.“Guardi, guardi”, dissi al capo, che subito intervenne facendosi portare la valigetta.Me la L’infinita lotta per la terra U N SOGNO CHE NON SI AVVERA È una pubblicità che rimane nella testa quella della Ong Mani Tese : c’è la suola di uno scarpone da lavoro su cui è rimasta attaccata della terra e so- pra una frase tanto significativa quanto lapidaria: «Terra di proprietà. In America Latina milioni di contadini possiedono solo la terra che rimane sotto le loro scarpe». Passano gli anni, ma il problema della proprietà e della concentrazione delle terre rimane quasi ovunque insoluto. Neppure il presidente brasiliano Lula è riuscito nell’intento di varare una seria riforma agraria che portasse ad una di- stribuzione delle terre. Anzi, ha fatto arrabbiare sia lo storico movimento dei semterra che gli indios dell’Amazzonia ( vedi articolo a pagina 45 ). Identiche si- tuazioni si riscontrano in Argentina, Ecuador, Colombia e su verso nord fino al Guatemala. In Perú, in vista della prossima entrata in vigore (1 gennaio 2009) del discusso «Trattato di libero commercio» (Tlc), il 20 maggio 2008 il governo del presi- dente Alan García ha approvato il decreto legislativo 1.015 con cui si riduce - dal 66,6% al 50% dei voti dei membri della comunità campesina o indigena - il consenso necessario per vendere o dare in concessione le terre comunitarie. Addirittura, la percentuale del 50% non dovrà più essere calcolata sui membri effettivi delle comunità, ma soltanto sui partecipanti all’assemblea, con il ri- schio quindi che decisioni di vitale importanza vengano prese da una mino- ranza. Il decreto 1.015 è dunque un tentativo esplicito di aprire la strada alle imprese e alle multinazionali, in violazione dei diritti delle comunità campesine ed in- digene della sierra e della selva. D’altra parte, la filosofia ultra-liberista del presidente Alan García era stata già manifestata. In un articolo pubbli- cato su El Comercio (1) , il principale quotidiano del paese, García accusava chi non consente lo sfruttamento delle risorse del Perú. In primis, dell’Amazzonia. Nonostante l’età e l’esperienza, certi presidenti non mi- gliorano mai. Alan García è certamente uno di questi: fu disastroso durante la sua prima esperienza di governo, oggi prosegue su quella stessa strada. Paolo Moiola Note: (1) El síndrome del perro del hortelano, pub- blicato su El Comercio del 28 ottobre 2007.
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