Missioni Consolata - Settembre 2008

MC SETTEMBRE 2008 23 more Giacobbe ridiventa schiavo del suocero: «Fu ancora al servizio ( douléu ō ) di lui per altri sette anni» (v. 30). Quando Giacobbe, assolti i suoi obblighi, va via con mo- gli e proprietà, Làbano lo insegue, perché gli fa comodo a- vere uno schiavo di quel valore a basso costo; ma Giacobbe «si adirò e apostrofò Làbano: ...Vent’anni ho passato con te... ho servito quattordici anni per le tue due figlie e quattro per il tuo gregge e tu hai cambiato il mio salario dieci volte» (Gen 31,36-42, qui vv. 36.38.41). Giacobbe rivendica «tutto il tempo del suo servizio/ schiavitù» (doulèu ō ) che egli accettò per amore e non si rassegnò al raggiro, alla truffa e alle av- versità. Egli agì per amore e alla presenza di Dio che egli ve- nera e ama: «Se non fosse stato con me il Dio di mio padre, il Dio di Abramo, il Terrore di Isacco, tu ora mi avresti licen- ziato a mani vuote» (Gen 31,42). Il patriarca Giacobbe rivendica non la quantità del tempo, ma la giustizia infranta dal suocero. Egli non ha agito con se- condi fini e con reconditi pensieri, ma alla luce del sole, ri- spettando contratti capestro che egli accettò come piccolo prezzo di un grande amore. Non si può dire lo stesso del figlio maggiore della para- bola, che rivendica solo la «quantità» della sua schiavitù che nessuno per altro gli aveva chiesto né contrattato. Se il pa- triarca ha agito per amore, il suo discendente agisce solo per egoismo e interesse. Giacobbe crede in Dio, il figlio mag- giore crede nelle sue sostanze; il patriarca affronta dei rischi e subisce per un bene superiore, il figlio anziano è prigio- niero della sua grettezza che ostenta davanti al padre: «Da tanti anni ti sono schiavo». L A RELIGIOSITÀ DELLA PARVENZA Se il figlio avesse avuto coscienza del suo rapporto affet- tivo col padre, avrebbe certamente usato il termine « diàko- nos »; invece l’evangelista, usando il verbo della schiavitù, ci mette in guardia, dicendo che egli si sente e si comporta da «schiavo» perché, pur essendo figlio anagraficamente, ha sempre vissuto da sottoposto gretto e vuoto di passioni. Una persona senza passioni, anche se a volte possono es- sere sbagliate, è sempre una rovina per se stessa e per l’u- manità intera, perché riduce tutto al proprio interesse per- sonale con cui fa coincidere l’esistenza e il valore di tutto l’u- niverso. Ed è anche un monito perenne per noi: si può pas- sare la vita a fare sacrifici, a macerarsi nelle rinunce e nelle privazioni, si può rinunciare a tutti i capretti del mondo, ma se non c’è la libertà dei figli di Dio, la gioia di regalare la pro- pria libertà, l’autonomia dai propri interessi immediati e qua- si sempre meschini, la condivisione con i fratelli «più giovani» che tornano dopo avere sperimentato i loro errori, noi sare- mo sempre i farisei della situazione: osserviamo material- mente tutti i precetti, ma il nostro cuore è lontano dalla sal- vezza, perché pur stando in casa col padre, di fatto siamo in «un paese lontano, vivendo da dissoluti, da persone senza salvezza» (Lc 15,13). Il figlio «anziano» si rivela qui il più infantile e il più imma- turo: non è mai cresciuto a livello di umanità, né come uomo né come figlio, perché come uomo si comporta e vive da «schiavo» e come figlio considera suo padre come padro- ne/proprietario. A questo punto non possiamo nemmeno meravigliarci della sua reazione nei confronti del «fratello», che egli non ha mai conosciuto, perché lo considera solo fi- glio di suo padre: «Questo tuo figlio» (v. 30). Il suo isolamento è totale: nessuna relazione vitale lo ani- ma, né quella affettiva parentale (padre, fratello, casa) per- ché egli è sempre «fuori» dagli altri, né (ed è facile supporlo) quella relazione con gli amici perché con questi «è felice» so- lo nelle feste occasionali. Il testo parla di « phìloi - amici», ma forse si dovrebbe parlare di «compagni» di baldorie. V ITA D ’ AMORE E PROSTITUZIONE Quanta differenza tra i due «fratelli»! Al v. 15, il minore che e- ra in «un paese lontano», per sopravvivere «si incollò/attaccò» a un pagano perché spinto dalla disperazione, che lo induce a sognare di tornare al padre suo, anche nella condizione di « mì- sthios - salariato/operaio». Egli prende lentamente coscienza del suo peccato morale e lascia che la vita del padre, che egli ha sperperato colpevolmente e resa immonda, lo travagli, lo re- cuperi, lo rimodelli per tornare alla sua affettività di relazione. Con le prostitute ha sperimentato l’ebbrezza della illusione momentanea, a pagamento, non ha avuto una relazione di vi- ta, perché gli è venuto meno il contesto d’amore che la pro- stituta non può dare. I gesti d’amore, infatti, della vita d’amo- re e della prostituzione sono gli stessi, l’atto sessuale è lo stes- so, ma la differenza sostanziale è tutta qui: nella vita d’amore il contesto è d’amore, libero e gratuito, nell’altro il contesto è mercenario perché si compra la finzione. Dove c’è un corrispettivo, di qualsiasi natura e specie, c’è sempre prostituzione perché l’amore/ agàp ē è per sua natura gratuito e senza pretese, ma principalmente senza reciprocità. Il figlio minore che è «materialmente» schiavo fino all’abie- zione di «servire» i porci, anela a diventare «salariato», non Giacobbe assiste alla discussione fra Làbano e Rachele a proposito degli idoli trafugati (G.B.Tiepolo), particolare. Giacobbe tratta con Làbano per sposare Rachele. Giacobbe lascia Làbano con mogli e gregge.

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