Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2008
74 MC LUGLIO-AGOSTO 2008 te , se non si vuole correre il rischio di «credersi dentro», mentre in realtà «si è solo fuori», come accadde alla stessa fa- miglia di Gesù: «Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo» (Mc 3,31); ma Gesù, «girando lo sguardo su quelli che erano seduti at- torno a lui (in casa, cf v. 20), disse: ... Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fra- tello, sorella e madre» (Mc 3,34-25). Da una parte il fariseo che disprezza il pub- blicano, dall’altra la famiglia che reputa Gesù «fuori di sé», cioè pazzo (Mc 3,21). Il religioso, il fariseo, l’uomo dell’istitu- zione mantiene sempre le distanze da ciò che accade e sen- za nemmeno accorgersene si ritrova immerso in un isola- mento popolato da regole, doveri, tradizioni che uccidono la Parola di Dio (Mt 15,6) e rifiutano gli altri che non si pos- sono gestire come si vorrebbe secondo la propria volontà. Il figlio maggiore somiglia molto a coloro che si appella- no all’immutabilità della teologia e della liturgia, perché nei tempi moderni non vedono che dissoluzione e nefandezze. Essi sono «fuori tempo», perché vivono solo di se stessi e per se stessi e pur restando in mezzo agli altri sono soli, terribilmente soli e si consolano fornicando con le tradi- zioni che essi stessi si danno, ma che riescono a contrab- bandare come Parola di Dio (Mc 7,13). Essi non «vogliono sapere» che la storia è il luogo dove lo Spirito Santo parla e agisce oggi non meno di ieri, perché «lo Spirito soffia dove vuole» (Gv 3,8). I L FIGLIO MAGGIORE CHE È DENTRO DI NOI Il «figlio anziano» è il prototipo, oggi, di quei tradiziona- listi, inevitabilmente fondamentalisti, che vogliono blocca- re l’azione dello Spirito a un particolare tempo storico che, di norma, coincide con il tempo delle loro convinzioni e rimpiangono il passato come il paradiso perduto e non si accorgono di essere «fuori», mentre s’illudono di essere «dentro». Essi, infatti, rifiutano un Dio non «adeguato» alla loro mentalità, rinnegano la fede dell’incarnazione e vo- gliono bloccare ogni processo di trasformazione che non sia «conversione alle loro idee» e alla loro religione, che non è fede nello Spirito Santo, ma religiosità superficiale ed e- vanescente, che si nutre di riti e non di vita, di rubriche e non di amore. Il figlio maggiore è un caposcuola che ha seminato di- scepoli in ogni epoca: egli è dentro ciascuno di noi che co- va l’ira e ci gonfia di gelosia, quando vogliamo un Dio «a no- stra immagine e somiglianza», capovolgendo così la Parola di Dio che ci parla di un Dio «annientato» per amore e per giustizia: «Gesù Cristo... non considerò un bene esclusivo l’essere uguale a Dio, ma annientò se stesso prendendo la condizione di schiavo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Gesù infatti è il Figlio primogenito che è venuto a cerca- re i fratelli minori per insegnare loro ad essere una sola fa- miglia, che possa pregare con una sola voce e una sola fra- ternità: «Padre nostro, che sei nei cieli» (Mt 6,9), dove in quell’aggettivo «nostro» c’è la nostra vita o la nostra con- danna. (continua - 21) In questa «volontà» negativa del figlio, c’è qualcosa di diabolico, perché la vo- lontà designa una scelta consapevole e determinata: « non voleva entrare » è più grave e più terribile del semplice «non en- trò», perché esprime l’opposizione radi- cale al fratello e al padre. L’ira del figlio maggiore è indirizzata verso il padre più che verso il fratello, perché ciò che lo scandalizza è il comportamento del pa- dre che è esattamente l’opposto del suo. Egli non si riconosce nel padre e pertan- to lo rifiuta e lo rinnega: non ha il corag- gio o, se si vuole, l’incoscienza del fratel- lo minore, perché non sarà mai capace di andare via di casa a motivo della «faccia- ta di perbenismo» che deve conservare; ma restando, si i- sola in un individualismo tragico, narcisista e possessivo, che lo uccidono prima ancora che cominci a respirare. Que- st’uomo è pieno di sé, anzi è pieno di desiderio di posses- so da non essere più in grado di ritrovare se stesso. L’ EKKLESÌA , LUOGO DI CONDIVISIONE NELLA GIOIA Nella quinta puntata del presente commento (cf MC 12 -2006, 61-63), abbiamo paragonato il figlio «anziano» al fariseo nel tempio, che, stando davanti a Dio «in piedi», di- sprezza il pubblicano che se ne sta in fondo, invocando so- lo pietà e misericordia (cf Lc 18,9-14). Ora ne abbiamo la definitiva conferma: egli è «geloso» della salvezza altrui, co- me i vignaioli nei confronti di chi riceve un salario genero- so da parte del padrone della vigna (Mt 20,15). La religione autentica si avvera quando qualcuno si salva e il credente ne gioisce, condividendone la felicità e viven- dola come se fosse una gioia personale: «Vi sarà più gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversio- ne» (v. 7). Questa è la chiesa: la condivisione della gioia con tutti coloro che incontrano Dio e la sua misericordia. Al contra- rio, il figlio «anziano», come la maggior parte dei cristiani da registro, vogliono un Dio che sanzioni e castighi secondo un metro di giustizia che corrisponda al loro vedere e sen- tire. Costoro non hanno mai incontrato il Dio di Gesù Cri- sto, ma solo la proiezione di un loro bisogno, solo la cari- catura di un Dio come loro lo immaginano. Non basta essere battezzati, o «andare» a messa la do- menica, o fare pratiche di pietà o sopportare la «religione del dovere» per essere credenti nel Dio rivelato da Gesù Cri- sto, «perché l’ira dell’uomo non produce ciò che è giusto davanti a Dio» (Gc 1,20). È il destino delle persone religio- se che credono di programmare Dio come un orologio ad alta precisione, purché Dio esegua alla lettera la loro visio- ne di vita, sposi le loro idee e attui i loro desideri. Per loro quello che si è sempre fatto è la regola d’oro e la barra di navigazione; tutto ciò che si discosta dal proprio ordine, proviene dal diavolo. Essi passano (o perdono?) la vita a precisare, a distinguere, a valutare: non vivono, soffrono sempre e vogliono che anche gli altri debbano essere come loro. Q UANDO D IO È PAZZO E SI VUOLE RINCHIUDERE Bisogna vivere in uno stato di discernimento permanen- Giona predica ai niniviti (di G. Doré).
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