Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2008
DOSSIER 40 MC LUGLIO-AGOSTO 2008 Perché il Tibet non è Hong Kong: cultura, tradizioni, lingua, storia sono differenti. Pechino non si fi- da dei tibetani. È un ricorso sto- rico. Ma per trovare una soluzione ognuno deve cedere qualcosa e al tempo stesso dobbiamo fidar- ci l’uno dell’altro. Un Tibet simi- le, inoltre, è già esistito tra il 1950 e il 1959, quando il presi- dente Mao sovrintendeva il pro- cesso di integrazione. È a quel Ti- bet che guardo. Lei ha più volte detto che il pros- simo Dalai Lama verrà scoperto fuori dalla Cina. In questo modo ha sfidato apertamente le auto- rità di Pechino perdendo un’al- tra occasione di dialogo. La prossima reincarnazione, nel tempo in cui i tibetani sono co- stretti all’esilio, sarà per forza di cose trovata fuori dalla Cina. Ci saranno quindi due figure re- ligiose, così come lo è stato per il Panchem Lama? Un Dalai Lama a Lhasa eletto con il beneplacito di Pechino ed uno «ufficiale» a Dharmasala? È molto probabile che sia così. Starà ai tibetani decidere a quale dei due tributare gli onori e la loro fede. Lei ha parlato anche di genocidio culturale. Cosa intendeva dire? Oramai a Lhasa la lingua più par- lata è il cinese e così nelle altre città del Tibet. Nelle scuole, negli uffici pubblici il cinese è la lingua uffi- ciale. Inoltre molti monasteri sono stati chiusi, altri sono stati sac- cheggiati se non distrutti comple- tamente. Questo intendo quando parlo di genocidio culturale. La violenza è sempre da evitare? Ci sono dei casi in cui lei appro- va l’uso della violenza? Sì, ci sono dei casi estremi in cui la violenza può essere un’arma uti- lizzabile, ma sempre con l’intento di salvaguardare la dignità del- l’uomo. Per esempio durante le guerre mondiali o durante la guer- ra di Corea, quando, per garantire la democrazia e la pace nel mondo futuro, si sono combattute delle guerre. O per salvaguardare i prin- U na leggenda tibetana narra che Jetsun Dolma, dea femminile consorte di Avalokitesvara, la divinità di cui il Dalai Lama è l’incarnazione umana, sa- rebbe nata da un fior di loto sbocciato dopo essere stato innaffiato da una la- crima del marito. Di lacrime, nel Tibet ne sono state versate tante nel corso della sua storia, e non sempre a causa degli stranieri, ma ultimamente il do- lore del popolo si è fatto più lacerante. E con i mezzi di informazione imba- vagliati, nonè facile averenotiziedaquesto immensoaltipiano. Eppure qual- cosa riesce sempre a trapelare attraverso le fitte maglie della censura. Merito di quei tibetani che, a rischio della propria libertà, accettano di fare da trami- te tra il loro mondo ingabbiato e il nostro. Dolma, nome fittizio dietro a cui si cela la rappresentante a Lhasa del Movimento delle donne tibetane, è una di queste figure. Sfruttando abil- mente la tradizione secondo cui le donne non si occupano di politica, di sera Dolma smette gli abiti dell’insegnante di scuola primaria e veste quelli di attivista in lotta per l’autonomia del suo paese. «Il governo controlla principalmente i tibetani di sesso maschile e questo ci permette di otte- nere notizie senza destare troppi sospetti» spiega nella sua casa alla pe- riferia della città. È grazie a Dolma e a tibetane come lei che riusciamo a sapere quel che realmente sta accadendo in Tibet. Un incarico rischioso, certo, ma Dolma, assieme a poche altre sue compagne, continua a lavorare per la causa. «Mio marito è stato incarcerato ed è morto in un lao- gai (i campi di prigionia cinesi, nda ). Da allora ho deciso di dedi- care la mia vita per la liberazione del mio popolo». Le lacrime del marito imprigio- nato, hanno fatto nascere in Dol- ma il fiore della speranza. Con questo fiore sfida pericolosa- mente il regime nel segno della non violenza che suo zio, mona- co buddista al monastero di Sera, le ha impartito. LACRIME DI SPERANZA La dea Jetsun Dolma, di cui il Dalai Lama è l’incarnazione. ASSOCIAZIONE DONNE TIBETANE A LHASA Manifestazione di donne tibetane.
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