Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2008

DOSSIER 34 MC LUGLIO-AGOSTO 2008 steri chiusi, la lingua tibetana vie- tata nelle scuole e negli uffici pub- blici. In poche settimane la situa- zione precipitò e il Dalai Lama fuggì in India. Solo dopo il 1980 i cinesi comin- ciarono a cambiare politica verso il Tibet, accogliendo una delegazio- ne di tibetani in esilio guidata dal fratello del Dalai Lama, riaprendo i monasteri, inserendo la lingua ti- betana nelle scuole e iniziando il dialogo con il governo in esilio in India. Ma, come accaduto per altre regioni, lo sviluppo economico vo- luto da Pechino è stato interpreta- to diversamente dai tibetani: l’arrivo di migliaia di Han , la co- struzione della ferrovia del Qinghai che collega Lhasa a Pechino in 48 ore, lo sviluppo turistico della re- gione, sono ragioni sufficienti per accusare la Cina di voler annienta- re la cultura locale. Paura per tutti È all’interno di questo quadro storico che sono tornato in Tibet, dopo essere stato testimone delle manifestazioni della scorsa prima- vera, cercando di comprendere co- sa stesse accadendo realmente al di là delle simpatie che tutti noi ab- biamo verso un popolo pacifico, oppresso da un regime che sta an- cora cercando di trovare un nuovo equilibrio dopo la morte del Gran- de Timoniere. Appena messo piede a Lhasa si comprende immediatamente che molto è cambiato nella società: i vi- coli della parte vecchia, solitamen- te brulicanti di gente, sono deser- ti e così il mercato, che in questo periodo dell’anno ospita migliaia di pellegrini e mercanti provenien- ti dagli altipiani ancora innevati. La normalità è tornata nella ca- pitale tibetana, continuano a reci- tare i proclami ufficiali. Ma è una normalità fittizia, dettata dalla du- ra lex chinensis , che esclude ogni forma di dissenso, specie se espresso in forma autonomista. L’Armata Rossa ha spento le fiamme della rivolta, ma tutti san- no che le braci ardono ancora sot- to il sottile manto di cenere. E tut- ti hanno paura. Hanno paura i ti- betani, che cominciano a sentirsi abbandonati dal mondo; ma han- no paura anche i cinesi i quali, nel- l’anno che avrebbe dovuto sancire l’apoteosi dell’economia asiatica, vedono gli occhi del mondo pun- tati sulla parte sbagliata della na- zione. Guardiamo tutti non verso Pechino, dove si svolgeranno in pompamagna i giochi olimpici, ma al Tibet e, in misura minore, allo Xinkjiang, regione dove la repres- sione si esprime in forme più vio- lente e subdole rispetto a quella ti- betana. «Pechino è infuriata: dopo aver perso i giochi olimpici del 2000 ed aver atteso questi per oltre un de- cennio, ora i tibetani e gli uiguri stanno rovinando tutto» afferma Mark Allison, collaboratore di Am- nesty International a Hong Kong. Allison aggiunge anche che la Ci- na non ha ancora svelato il «mi- stero» che circonda la figura di Gedhun Chuekyi Nyima, il quale dal 1995, anno in cui il Dalai Lama lo ha riconosciuto come undicesi- ma reincarnazione del Panchen La- ma, è tenuto segregato in un luo- go segreto dalle autorità di Pechi- no. «Aveva sei anni all’epoca ed è stato riconosciuto da Amnesty co- me il più giovane prigioniero poli- tico del mondo». Dice Allison. Dagli slogan all’oblio Ma quanto si concentrerà l’at- tenzione dell’Occidente sul Tibet? « Remember Burma », ricordati la Birmania, ammonisce Tenzing Dorma, professore di storia alla Ti- bet University di Lhasa, riferendo- si all’oblio in cui è piombato il pae- se del sudest asiatico dopo l’on- data di interesse durante la repressione dei monaci birmani. «Gli scontri del 14 marzo sono stati i più violenti dal 1989 ad og- gi» dice Pasang Norbu, unmonaco originario di Golmud. «Personal- mente non ho visto nessuna vitti- ma, ma molte famiglie tibetane la- mentano la mancanza di questo o quel famigliare». Se Parigi valeva bene una messa, quanto varrà Pe- chino? Sicuramente più dei 19 morti, ufficialmente dichiarati dal- le autorità, o dei 99 proclamati dal governo in esilio. A parole «siamo tutti tibetani», ma quando si tratta di mettere in Il più giovane prigioniero politico del mondo: Gedhun Chuekyi, 11º Panchen Lama riconosciuto dalle autorità tibetane, arrestato nel 1989 dal regime cinese a soli sei anni e tenuto in una località sconosciuta. Auto in fiamme a Lhasa, durante la protesta anticinese scoppiata nel marzo scorso.

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