Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2008
MISSIONI CONSOLATA anche un metodo pastorale molto vincolante, che obbligava coloro che lavoravano con lui ad andare a qual- siasi riunione «disarmati», cioè, di- sposti a vedere la realtà, possibil- mente con gli occhi della gente che la vive e soffre, collaborando ad am- pliare questa visione con una infor- mazione teorica che aiuti a capire le cause e le conseguenze di tale realtà. Poi, in un momento di riflessione più profonda, la realtà veniva passata al vaglio delle aspettative di Dio; il ri- sultato pratico doveva dare vita a un’azione capace di scatenare un nuovo vedere, un nuovo giudicare e un nuovo attuare. VENT’ANNI DOPO Oggi, insieme alla coscienza della dominazione subita, gli indigeni hannomaggior consapevolezza del valore della propria cultura.Ciò in- clude anche il rapporto con la pro- pria lingua, il quichua , in confronto con lo spagnolo, lingua ufficiale (e dominante) dello stato ecuadoriano. Come idioma ufficiale lo spagnolo fu imposto fin dall’epoca coloniale. È la lingua che si usa nelle leggi, nelle istituzioni statali, nell’insegnamento, nei mezzi di comunicazione colletti- va, in tutti gli ambiti e istanze della vita pubblica. Si usa anche nella let- teratura e nelle pubblicazioni scien- tifiche e tecniche. Le lingue dei popoli indigeni sono state invece relegate agli ambienti familiari e sono rimaste circoscritte a forme di comunicazione limitata. Uno sforzo significativo per avviare un sistema educativo bilingue è sta- to fatto. Purtroppo l’insegnamento della lingua propria è sempre rima- sto facoltativo, l’organizzazione dei corsi è sempre stata fatta inmodo approssimativo; altrettanto deficita- ria è stata la disponibilità di inse- gnanti validi e materiale didattico a- deguato. Nelle culture e lingue si radicano l’essenza e il senso di identità storica degli indios.Ogni persona che pren- de coscienza politica della propria oppressione, sa che deve appog- giarsi sulla lingua e sulla cultura per poter affermare la propria persona- lità e dignità. Sotto questo punto di vista, la spinta data dall’azione di mons. Proaño è stata fondamentale. Oggi, per la prima volta, si vedono indios in posti pubblici; fatto, questo, che distrugge la figura stereotipata dell’indigeno. Si nota un rinnova- mento culturale che porta alla ma- turazione di nuovi paradigmi di rap- porti sociali; la rinnovata presa di co- scienza dà i suoi frutti anche a livello politico. La capacità degli indigeni di far fronte comune contro le ingiusti- zie del sistema si ripercuote sulla si- tuazione culturale del paese intero. Le rivolte e i sollevamenti indigeni sono attività di forte intensità socia- le, che hanno generatomolti studi e tesi accademiche. La convivenza tra le culture non è cosa facile da acquisire.Multicultu- ralità e interculturalità suppongono una posizione ideologica infestata da interessi politici ed economici; imposta questioni di identità, alte- rità, differenziazione, originalità, raz- zismo ecc.Tuttavia bisogna sempre tener presente che la pluralità di cul- ture interagenti non comporta la ri- nuncia alle differenze,ma piuttosto la loro accettazione in una unità e- quilibrata e totalizzante.Non si trat- ta di rinunciare alla cultura propria, ma di rivendicare e accettare la per- meabilità delle culture secondo un processo di coesistenza che faccia del bene a tutti. Questo criterio, alla base della pe- dagogia elaborata da mons. Proaño, è oggi obbligatorio per chiunque voglia avvicinarsi alla pastorale indi- gena. Molte idee del vescovo sono state accettate e il metodo «vedere- giudicare-agire» è premessa obbli- gatoria per ogni programma pasto- rale. Anche la pastorale d’insieme è oramai ovvia e presente ovunque. Certe persone hanno sviluppato inmaniera impressionante il dono di comunicare con la gente: vengo- no subito capite e altrettanto rapi- damente suscitano entusiasmo.Una di esse è statomons. Proaño.Ancora oggi, basta nominarlo che all’indige- no si accende il cuore e diventa su- bito pronto a riattivare i ricordi. Per quantomi riguarda, invece, continuo a pensare che il vangelo non sia un’opera «chiusa»,ma conti- nui ad affermarsi nella storia come composizione permanente, grazie a testimonianze encomiabili e straor- dinarie; ma esistono anche versioni nuove basate su come il vangelo è stato creduto, amato e praticato. Sa- rebbe bello e opportuno si pubbli- casse finalmente «Il vangelo di no- stro Signor Gesù Cristo secondo Proaño, vescovo degli indios». ■ MC LUGLIO-AGOSTO 2008 19 L'autore dell'articolo con alcune indigene della comunità di Punin, diocesi di Riobamba. Pucahuaico, Ibarra. La tomba in cui riposano le spoglie del vescovo ecuadoriano.
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