Missioni Consolata - Giugno 2008

DOSSIER 36 MC GIUGNO 2008 assicurazioni che gestiscono i fondi pensione e confondere i la- voratori. In base ad uno studio realizzato in Inghilterra nel luglio 2007, è emerso che solo il 13% delle azioni quotate alla borsa di Londra, un valore di 2.700 mi- liardi di euro ripartito fra 1.139 società, appartiene a individui in carne ed ossa. Il resto è posse- duto da istituzioni. Più precisa- mente 41% da non meglio identi- ficati investitori esteri, 15% assi- curazioni, 13% fondi pensione, 10% fondi di investimento, 4% fi- duciarie, 3% banche, 1% istitu- zioni caritatevoli. CONTROLLATE E CONTROLLANTI In Italia, l’istituzione finanziaria più potente è Assicurazioni Generali. Nata come società assi- curatrice, oggi è anche banca, fondo pensione e intermediario fi- nanziario. Nel 2006 ha fatturato 102 miliardi di dollari ed ha realiz- zato profitti per 3 miliardi di dol- lari, collocandosi al secondo po- sto fra le imprese italiane (dopo Eni), al terzo posto nella gradua- toria mondiale delle assicurazioni sulla vita (dopo Ing e Axa) e al 30° posto nella graduatoria mondiale di tutte le multinazionali. Il suo principale azionista è Mediobanca con una quota del 15,6%. Altri proprietari di rilievo sono Unicredito, Banca d’Italia, Banca Intesa San Paolo con quote fra il 2 e il 5%. Nel complesso i sette maggiori azionisti detengono il 34% del capitale, mentre il re- mobili. Poi, a metà degli anni, Ottanta il vento cambiò. In base al pensiero liberista lo Stato non do- veva avere più ruolo in economia e non solo doveva disfarsi di ogni proprietà industriale, ma doveva abbandonare perfino i servizi pubblici come la sanità e l’istruzione. La vendita di Alitalia rappresenta uno degli ultimi atti del processo di sganciamento dello Stato italiano dalle parteci- pazioni industriali. Ciò non di meno continua ad essere il princi- pale azionista di Eni, Finmeccanica, Fincantieri e al mo- mento non si intravedono segnali che abbia intenzione di sbaraz- zarsi di loro. IL RITORNO DELLO STATO AZIONISTA A dire il vero si ha la sensazione che un nuovo vento stia per spi- rare perché, in vari paesi del mondo, lo stato si sta di nuovo imponendo come azionista im- portante. Sta succedendo in Norvegia, Singapore, Kuwait, ma anche Russia e Cina. I governi di questi paesi si ritrovano fra le mani delle fortune accumulate per le ragioni più varie. Emirati Arabi, Kuwait, Arabia Saudita, Russia, grazie ai proventi del gas e del petrolio, la Norvegia grazie ad un fondo pen- sione pubblico, la Cina grazie alle riserve di valuta straniera accu- mulate tramite l’enorme avanzo commerciale. Nell’insieme tali fondi, definiti fondi sovrani, am- montano a 2.000 miliardi di dol- lari, un valore ancora modesto, ma suscitano grande preoccupa- zione non solo perché crescono rapidamente (entro il 2012 po- trebbero raggiungere i 12.000 miliardi di dollari), ma soprattutto perché nessuno vede di buon oc- chio che le proprie industrie na- zionali, specie quelle strategiche, possano finire sotto il controllo di uno stato straniero. Ad esempio, è del dicembre 2007 la notizia che il 10% della banca americana Morgan Stanley è stato comprato dal fondo so- vrano cinese China Investment Corporation . Cinque miliardi di dollari che lo stato cinese ha pre- ferito utilizzare per un’opera- zione di potere piuttosto che per migliorare le condizioni di vita della propria gente. ■ stante 66% è definito flottante, ossia ampiamente frantumato e passato frequentemente di mano. Generali a sua volta possiede ol- tre il 51% di numerose società as- sicuratrici e bancarie sia italiane che estere (Ina, Toro, Alleanza, Banca Generali, Banca del Gottardo) e detiene quote di mi- noranza in una miriade di società italiane ed estere, fra cui il Gruppo editoriale l’Espresso, Capitalia, Bnl, Lottomatica, Telecom. Incredibile, ma vero, Generali possiede anche il 2% di Mediobanca, suo principale azio- nista e il 7,5 di Intesa San Paolo, altro azionista di rilievo. In con- clusione controllate e controllanti si possiedono a vicenda in un groviglio inestricabile che forma una gigantesca cupola di co- mando dei principali gangli pro- duttivi e finanziari del Paese. Eni, prima impresa italiana, sfugge alle scalate degli investi- tori istituzionali (così si chiamano le grandi istituzioni finanziarie) perché la sua quota di maggio- ranza è saldamente in mano allo Stato. Il ruolo dello Stato nella proprietà aziendale ha subito al- terne vicende nel corso della sto- ria ed è cambiato di continuo in base dell’andamento degli inte- ressi economici che poi determi- nano le correnti politiche. Nel se- colo scorso, quando il sistema uscì con le ossa rotte dalla crisi del ventinove, in tutta Europa gli stati vennero implorati di acqui- stare quote importanti di società ridotte al lastrico assieme alle banche che le possedevano. In Italia nacque l’IRI, un fondo pub- blico che si ritrovò proprietario di imprese che andavano dai panet- toni ai pelati, dalle armi alle auto- L’attuale crisi alimentare colpisce so- prattutto le popolazioni povere.

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