Missioni Consolata - Giugno 2008

26 MC GIUGNO 2008 Scopriamo, invece, che la sua assenza non è motivata dal- la sua fedeltà, ma dalla sua natura di figlio degenere nell’ani- ma e traviato nel sentimento: egli è sempre assente, nono- stante sia il «più anziano» e quindi l’erede designato, colui che fa le veci del padre. A una lettura attenta e meno frettolosa veniamo a conoscere la natura gretta e il volto accigliato di questo figlio, che figlio non è mai stato, perché vive nel rifiu- to della fraternità. Il servo interpellato, con ogni probabilità, conosce bene questo figlio anziano e con la sua risposta cerca di creare il ponte verso il padre, offrendogliene l’opportunità: «Tuo fra- tello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello, quello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo» (v. 27), mettendo in luce lo stesso sentimento del padre, espresso al v. 24: il fi- glio morto e ritrovato . Nelle parole del servo, però, c’è di più, perché anticipa le parole che lo stesso padre dirà più tardi, andando incontro anche a questo figlio «anziano» che si è perduto senza esser- si mai allontanato: «Questo tuo fratello era morto ed è tor- nato in vita» (v. 32). Il servo infatti non dice che è tornato il «figlio del padre», ma precisa « tuo fratello è qui» e aggiunge « tuo padre» ha deciso si ammazzare il vitello della festa. Il servo gli annuncia la Pasqua di risurrezione che sta vi- vendo il padre e lo invita a risorgere anche lui, entrando a mangiare il vitello della festa. Il servo/estraneo sa quello che il figlio anziano non sa e non vuole sapere: «Che io non per- da nulla di quanto egli (il Padre) mi ha dato» (Gv 6,39). Egli da uomo della tradizione religiosa, che recita le preghiere se- condo il rituale, quello sicuro, pensa a salvare se stesso, non curandosi della salvezza del fratello, e non sa che questa è la sua condanna e il suo inferno, perché da soli ci si danna si- curamente, mentre ci si può salvare solo insieme. S ALVARE VALE PIÙ DI OGNI SACRIFICIO In questa circostanza straordinaria, il servo prova a ripor- tare il figlio dentro la rete di relazioni affettive, stuzzicando- lo a entrare nella dinamica della paternità, che diventa fra- ternità condivisa: tuo fratello, tuo padre. È straordinario che il servo non gli dica che il padre ha reintegrato il fratello nel- la pienezza della sua identità di figlio, attraverso i segni este- riori (vestito, anello e sandali del v. 22), ma metta in eviden- za l’aspetto religioso e sacrificale dell’avvenimento: il vitello grasso, riservato al sacrificio per il Signore. Per il padre ricevere il figlio vivo ha la stessa valenza che stare davanti a Dio: ammazza il vitello grasso per il suo ritor- no come se stesse compiendo il sacrificio di ringraziamento nel tempio di Gerusalemme. Per il padre credere è accoglie- re il figlio perduto. Il servo coglie questa grandezza smisura- ta e ne è partecipe così tanto che crede possibile smuovere il cuore di pietra del figlio anziano: «Tuo fratello è tornato e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello, quello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo» (v. 27). A questa notizia il figlio «anziano»: «Si accese d’ira e non vo- leva entrare» (v. 28), svelando così la sua natura fratricida e la sua indole irrecuperabile; se è vero che il minore è scap- pato di casa, è altrettanto vero che il maggiore non vuole en- trare; ma mentre il primo è tornato e sta dentro, l’anziano re- sta fuori perché non è mai entrato e tocca ancora una volta al padre uscire e andargli incontro, nel tentativo di recupera- re anche questo figlio, che avrebbe dovuto essere un model- lo di esempio per la sua «anzianità». Di questo però ci occu- peremo la prossima volta (continua - 20) . co i miei fratelli. Indicami dove si trovano a pascolare». Alla fi- ne «Giuseppe andò in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Do- tan». I fratelli «maggiori», gelosi del fratello minore «lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complotta- rono di farlo morire». Sappiamo come andò a finire: dopo non molti anni sarà Giuseppe, il figlio minore, che salverà la vita dei fratelli omici- di e di tutta la sua stirpe. Anche per lui valgono le parole del salmo che la liturgia pasquale applica al Cristo Messia: «La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo» (Sal 118/117,22). Anche nella parabola lucana, avviene qualcosa di simile: il ritorno del figlio minore può essere l’occasione di salvezza per il fratello anziano, la svolta della sua vita e la riscoperta dell’amore di quel padre che egli non ha mai amato e da cui non si è mai lasciato amare. Il ritorno del fratello minore, al contrario, sancisce la sua condanna definitiva, perché egli non vuole un fratello e di conseguenza non vuole nemmeno un padre: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20). Nella parabola lucana nulla può escludere la possibilità che il minore sia scappato da casa per le vessazioni del fratello «anziano», ma è facile dedurlo dalla reazione del maggiore che si stupisce della musica, e forse teme che il fratello sia davve- ro ritornato. Egli sperava di essersene liberato per sempre, mentre adesso rischia di ritrovarselo di nuovo, ma come è suo costume non vuole esporsi. Ormai siamo certi che egli non si è mai informato del fra- tello e né mai ne ha parlato con il padre, che probabilmente ha trasformato la casa in luogo di lutto perenne, dove la vita scorreva anonima e greve, perché quella casa era vuota e mu- ta senza il «figlio più giovane». Il figlio «anziano» non ha partecipato al lutto e non intende parteciparne ora la gioia: ha messo gli altri nel ghetto, alzan- do una siepe di egoismo ed esclusione, e considera gli altri come suoi nemici, padre compreso, con i quali non vuole sporcarsi. Chiamare il servo per conoscere gli avvenimenti, si- gnifica impedirsi di vivere gli stessi avvenimenti e condannar- si alla morte. Invece di sprofondarsi nel cuore della festa per diventarne parte e farne parte agli altri, «chiamò un servo». L’evangelista in questo modo mette in contrasto l’atteggia- mento del padre con quello del figlio «anziano». Il padre si ac- corge del figlio giovane prima di vederlo e lo percepisce «quando ancora era lontano» (v. 20) e gli corre incontro, per- dendo la sua stessa dignità. Il «figlio anziano» non solo è nel campo , cioè lontano da casa, ma nemmeno quando si avvici- na alla casa riesce a «sentire» la presenza del fratello. La musica e le danze avrebbero dovuto essere «il segno» da mettergli le ali ai piedi e farlo volare verso la paternità e la fra- ternità compiute nell’abbraccio di padre e figlio; al contrario, lo escludono ancora di più e lo seppelliscono nel suo egoi- smo e nella sua avidità. L A FRATERNITÀ , P ASQUA DELLA PATERNITÀ Nella prima parte della parabola, tutto si gioca sulla pater- nità negata dal figlio minore, mentre il maggiore viene ricor- dato solo incidentalmente, perché «un uomo aveva due figli» (v. 11), tra i quali il padre «divise la sua vita» (v. 12). In seguito si parla solo del figlio «più giovane», mentre dell’altro si perdono le tracce. Forse per questo una lettura superficiale ce lo ha fat- to apparire «simpatico», modello di figlio adulto e maturo, de- voto al padre, a differenza del minore, degenere e traviato. www.missioniconsolataonlus.it Ascoltabile su:

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