Missioni Consolata - Giugno 2008
12 MC GIUGNO 2008 ITALIA «Madre di Gesù» e tentando così di venire incontro a una diversa sensibi- lità religiosa, senza rinunciare alla ve- rità, ma mitigandola per poter dare un annuncio anche a chi farebbe fati- ca a riceverlo in un linguaggio così dogmatico. Le immagini si sono e- saurite molto velocemente. Che cosa offre di specifico,oggi, il santuario della Consolata a chi lo visita? Quando nel 2001 il cardinal Poletto ha ridisegnato la realtà del santuario per renderla al passo con i tempi e le necessità della diocesi, è statomolto chiaro sui servizi che si serebbe a- spettato dalla Consolata: celebrazioni liturgiche esemplari,possibilità co- stante di accedere al sacramento del- la riconciliazione e alla direzione spi- rituale, formazione dei confessori, en- fasi sulla spiritualità mariana.A tutto ciò ha aggiunto un quinto punto che rappresenta per noi una novità e che ci qualifica ulteriormente: il cammino di accompagnamento dei «ricomin- cianti». Si tratta di un insieme di per- corsi di riavvicinamento alla fede per coloro che ricominciano a credere. Abbiamo iniziato cinque anni fa aiu- tando più di 100 persone attraverso questo particolareministero. A que- sto servizio collabora anche suor Raf- faella, missionaria della Consolata; credo infatti che chi in qualchemodo ha il carisma del primo annuncio pos- sa aiutarci a formare queste persone per i quali la fede è una riscoperta to- tale. Non facciamo nessuna pubbli- cità, le persone si passano loro la vo- ce da uno all’altro. Oltre a tutto ciò il santuario non ha iniziative specifiche, per esempio nei confronti del mondo giovanile: tutti quelli che chiedono di poter fare un cammino vengono accompagnati, anche giovani, ovviamente.Deside- riamo però che loro stiano il più pos- sibile nelle loro parrocchie di prove- nienza; il santuario è una clinica un po’particolare, specializzata per le «malattie spirituali», quelle malattie di cui uno si rende conto e che han- no bisogno di unmomento di ac- compagnamento. Poi, basta. Il san- tuario può essere definito come un luogo senza frontiera, quella frontie- ra che invece ha la parrocchia.Dal santuario si può entrare ed uscire senza che nessuno ti chieda di dove sei o dove vai. Dal suo osservatorio un po’ spe- ciale, dovendo chiedere alla Con- solata una grazia per laTorino di oggi, che cosa penserebbe? Che fe- rita o che progettometterebbe nelle suemani? Dal nostro piccolo osservatorio ab- biamo una percezione che sembra essere paradossale se letta nel conte- sto della vita di oggi.Viviamo infatti nel tempo che tutti dicono essere della comunicazione, il tempo dei te- lefonini... A quest’enfasi sulla comu- nicazione - e quindi sulla relazione, corrisponde invece una malattia profonda, radicata, a volte senza spe- ranza che è la solitudine.Anche soli- tudine da Dio, ci si sente abbandona- ti da lui proprio per l’incapacità di una strutturazione positiva nell’am- bito della fede.C’è poi l’esperienza della solitudine nelle relazioni uma- ne. Relazioni ferite, saltate, interrotte, frantumate, a volte frutto di un ab- bandono. Gli anziani continuano a dire che i figli li hanno abbandonati, hanno preso la loro vita e si sono di- menticati di loro; i giovani dicono che nessuno si prende cura di loro.A metà della loro vita, alcuni quaran- tenni continuano a dire che sono tal- mente scissi tra il lavoro e la famiglia, da vivere interiormente delle grandi lacerazioni, create proprio da questa solitudine.C’è certamente anche il problema della solitudine di chi è im- migrato. Noi raccogliamo grandi sof- ferenze, e anche grandi confidenze da chi giunge e dice: «Nella mia ter- ra...quando io ero...». Si coglie una grande fatica nell’inserimento di queste persone.Non dico che la città non sia accogliente,ma forse non ha strumenti per accogliere tutti, per creare ponti nelle solitudini. La Consolata vuole incontrare le solitudini e non soltanto per conso- larle, ma per costruire. La vera conso- lazione sta nell’aiutare a fare i primi, piccoli passi per riprendere i cammi- ni interrotti, per riguadagnare corag- gio interiore e anche per ridare spe- ranza. Se c’è un frutto della consola- zione è proprio la speranza di non sentirti perduto. Penso che l’Allama- no avrebbe accolto questa inquietu- dine del cuore dell’uomo e avrebbe fatto certamente miracoli, come sa- peva fare lui. La Consolata gli avreb- be suggerito qualcosa, così come continua a suggerire, nella storia, la medicina giusta per quest’infermità del cuore dell’uomo. Per l’uomo di oggi è importante sapere che alla Consolata c’è sempre qualcuno che ti accoglie, che ti ascolta: prima di tut- to la Consolata stessa, e poi i preti che lavorano con lei al santuario. Come rettore del santuario è l’e- rede dell’Allamano.Che cosa invi- dia di più al suo predecessore? Aver avuto il Camisassa...questo non è un giudizio sui miei collabora- tori, per la carità. In realtà, qui conme ho dei grandi Camisassa. Il guaio è che io non sono l’Allamano, e quindi loro fanno più fatica del Camisassa a capire che cosa vorrei fare. Il rappor- to fra l’Allamano e il Camisassa, quel- lo stile, ecco il punto a cui dovremmo tendere come comunità. Il vostro fondatore è riuscito a concretizzare l’intuizione donatagli dalla Consolata perché il Camisassa è stato capace di essere il tessitore del sognomissio- nario dell’Allamano. La loro frater- nità, il loro progettare e lavorare in- sieme, il loro volersi bene sono i pun- ti che ci ispirano nel nostro vivere e costruire insieme. E devo dire che ci stiamo riuscendo. Il primomiracolo che la Consolata fa tutti i giorni al santuario è che tra noi preti ci si vo- glia bene. Si lavora bene, ci si aiuta, si è sereni, gioiosi... si è contenti di esse- re alla Consolata.Questo è il dono più grande che la Madonna può fare ogni giorno a noi, che in fondo siamo preti di parrocchia, di oratorio,ma fe- lici di essere alla Consolata. ■ Il beato Giuseppe Allamano, rettore del santuario dal 1880 al 1926.
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