Missioni Consolata - Maggio 2008
MC MAGGIO 2008 55 bilità storiche. Queste consistevano prima di tutto a dare allo Stato-Nazione un contenuto e un valore, che tra- scendesse gli interessi identitari o di comunità. C erti analisti hanno subito preso il pretesto di questi insuccessi per dichiarare, imprudentemente, che l’Africa non è adatta alla democrazia. Se conside- riamo gli standard democratici come la separazione dei poteri, le elezioni libere e trasparenti, il multi partitismo e la protezione delle minoranze, è difficile affermare che questi sono esclusiva di una razza di uomini, di un conti- nente o di un gruppo di paesi o di continenti. Corrispon- dono, pensiamo, a delle aspirazioni universali, fondate sulla storia stessa degli uomini. Così, l’appropriazione di questi standard può rispondere a degli approcci diversi, non solo in funzione della cultura politica di ogni popo- lo, ma anche, e soprattutto in funzione dell’ideale socio- politico che ogni popolo vuole fare proprio. Il problema è quindi meno nei principi democratici, for- zatamente generali, e più nella capacità degli africani ad abbandonare la via del mimetismo per essere veramente creativi. Lo si vede dove le élite politiche del continente fanno prova d’immaginazione e soprattutto di volontà politica di far loro l’ideale democratico. Qui la base isti- tuzionale della democrazia è più solida. C erte teorie politiche, che constatano il fallimento degli Stati-Nazione hanno pensato di cambiare la democrazia classica con un approccio consensuali- sta. L’hanno chiamata «democrazia consensuale». Ma questa presenta talmente tante similitudini con il sistema dei capi tradizionali, che fa temere il ritorno al monoliti- smo e al potere personificato. Il popolo francese, ad esempio, non ha sempre vissuto in uno stato democrati- co. Ha conosciuto poteri monarchici con varianti assolu- tiste. È proprio sul fondamento di questo passato che le lotte sociali si sono sviluppate e hanno portato la demo- crazia. Non possiamo fondarci su dei pensatori socio-storici per definire l’evoluzione politica di un paese o di una nazio- ne. Il male dell’Africa sta dunque in una carenza ende- mica delle élite politiche, incapaci di elevarsi al livello di visione nazionale per integrare armoniosamente l’insieme di entità etniche che compongono le comunità nazionali africane. Mancanza di trascendenza politica e di una rea- le volontà delle élite di portare le masse africane verso la costruzione di veri Stati-Nazione, la democrazia resterà sempre un’aspirazione e una linea d’orizzonte. L a svolta degli anni ’90 con la conferenza di la Bau- le aveva messo gli africani faccia a faccia con un dilemma: optare per la democrazia, e quindi bene- ficiare dell’aiuto occidentale, oppure continuare con le loro politiche autoritarie, con le implicazioni dal punto di vista della governance economica e sociale. In questo caso avrebbero rinunciato essi stessi al sostegno dei pae- si sviluppati. Quando François Mitterand lanciava que- sto ultimatum , la maggior parte dei paesi africani versa- va in una crisi economica e sociale senza precedenti. Il carattere strutturale di queste crisi non ha lasciato scelta ai paesi, che hanno tutti deciso di abbracciare la demo- crazia pluralista, per ottenere la manna finanziaria occi- dentale. M a ci si è presto resi conto che questa accettazione della democrazia era avvenuta a denti stretti. In realtà la situazione economica e sociale era così catastrofica che le misure terapeutiche previste dalle isti- tuzioni finanziarie internazionali accentuarono ulterior- mente i problemi. Analizzando il nuovo contesto dei paesi africani, l’intel- lettuale camerunese Achille Mbmbe vi denota tre fattori caratteristici. Primo. La democratizzazione è stata accompagnata dal- l’informalizzazione delle economie e delle strutture sta- tali: dispersione del potere, mutilazione dello stato nel senso di indebolimento delle capacità amministrative, assenza di visione prospettiva che alimentava reazioni di panico di fronte a situazioni di rischio impreviste, da cui il ricorso sistematico alla violenza. Secondo. Si assiste a una specie di fenomeno di «diffra- zione sociale», ovvero la comparsa di eventi come le guerre, lo spostamento forzato di popolazioni, i massa- cri, ma anche il sorgere di poli diversi di autorità e giuri- sdizione, la molteplicità delle identità e delle alleanze, tutte cose che accrescono l’instabilità strutturale. T erzo. Si nota, infine, l’assenza del modello teorico e di una tradizione di riflessione critica e autonoma sullo stato di diritto, le forme di cittadinanza e le istituzioni della democrazia sul continente. Ne risulta l’assenza di un progetto politico degno di questo nome, ideato da uomini e donne con una vera ambizione per l’Africa. Bisogna ammettere che le esperienze democra- tiche africane sono, la maggior parte almeno, dei falli- menti. Ma è soprattutto il fiasco delle élite politiche che non hanno saputo essere all’altezza delle loro responsa- UTOPIA O REALTÀ? Il dibattito sulla democrazia in Africa continua. A prima vista, c’è un plebiscito per il modello occidentale da parte delle élite politiche africane. Ma alcuni decen- ni di pratica democratica sul continente testimoniano il fallimento di queste uto- pie. Cosa copre questo umanismo di facciata? E quali sono le ragioni del falli- mento delle esperienze democratiche africane? Pensieri sulla democrazia C’è un altro mondo che osserva, riflette, agisce Versione originale in francese disponibile sul sito www.missioniconsolataonlus.it Germain Bitiu Nama Visioni Africane
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