Missioni Consolata - Maggio 2008
MC MAGGIO 2008 23 Senza questa aggiunta, la parabola sarebbe abbastanza scialba, perché mancherebbe il contrasto tra il padre e il figlio anziano, tra questi e il fratello minore. Come in u- na pala a due quadri, a loro volta suddivisi in due parti, i colori sono netti, senza sfumature e per questo rapisco- no l’attenzione e i sentimenti. Con l’ingresso del «figlio maggiore» assistiamo a un ca- povolgimento imprevisto che Luca anticipa, collocando- lo «fuori» della casa paterna. Ragionando con gli schemi umani, secondo un senso «materiale» della giustizia, istintivamente si è portati a so- lidarizzare con questo personaggio, che viene spontaneo giudicare buono e vittima dell’ingiustizia paterna: non è giusto che il figlio minore che ha speso tutta la sua parte ora riabbia di nuovo tutto, mentre il maggiore che «è sta- to fedele» debba avere di meno. Se questo fos- se il comportamento generalizzato, dove si andrebbe a finire? Luca probabilmente consoce questo «tipico» modo di ragio- nare e quindi ci apre gli oc- chi a cogliere il comporta- mento di Dio, qui raffi- gurato nel padre, che capovolge sistemati- camente i criteri di valutazione degli uo- mini. S GUARDO D ’ INSIEME Nella terza punta- ta (MC 7-8 2006, pp. 61-63) abbiamo spiegato che la para- bola lucana è un « mi- dràsh » di Geremia 31, dove il figlio minore di Giuseppe, Efraim prende il posto del fratello maggio- re, Manasse (Ger 31,18-20), realizzando un capovolgimento di diritti e situazioni, cioè ribaltan- do il modo umano di vedere le cose, alla luce del pensiero profetico che il modo di pen- sare di Dio è l’opposto di quello dell’uomo (cf Is 55,8-9). Questo capovolgimento di mentalità rispecchia l’inse- gnamento di Gesù, esposto nella parabola degli operai che vanno a lavorare nella vigna: gli ultimi non hannome- no dei primi (cf Mt 20,1-16) e che Lcmette in bocca aMa- ria nel Magnificat, che è la sintesi di tutta la storia della salvezza (Lc 1,51-53). Nella stessa puntata abbiamo scritto: «La parabola dei due figli è parallela a quella del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14). Essi si recano al tempio per pregare, ma ri- tornano a casa a ruoli invertiti: l’atteggiamento del fari- seo corrisponde a quello del figlio maggiore, mentre quello del pubblicano è identico a quello del figlio mi- nore» (MC 12 2007, pp. 62-63). Il fariseo e il «figlio mag- giore» sono tronfi di sé e accampano diritti davanti a Dio, mentre il figlio più giovane e il pubblicano sono dispera- ti nel loro bisogno di perdono. «A NZIANI , CAPI DEI SACERDOTI E SCRIBI » (Mc 8,31) Con il v. 25 entra in scena il figlio comunemente indi- cato nelle varie traduzioni (compresa la 3a edizione del- la CEI del 1997) come «figlio maggiore». Questa tradu- zione ridimensiona la vera portata del termine greco che è « presb ý teros - presbitero/anziano» e ne svia anche l’e- segesi, perché travisa l’intenzione dell’autore. Con il termine «anziano» che traduce l’ebraico « za- qèn/ziqnê », infatti, nella tradizione biblica e giudaica al tempo di Gesù si indicavano gli antenati (At 2,17; Eb 11,2) oppure il sinedrio che governava Israele (Lc 7,3; Mc 11,27) e in epoca cristiana, i capi della comunità (At 14,23; 15,2). Qui si potrebbe dire che la parola è una spe- cie di « sinèddoche » (dal gr. syn-ekdèchomai - prendo in- sieme), cioè una figura retorica che usa una parte per in- dicare il tutto: con il termine «anziani» si indi- cano tutte e quattro le categorie che componevano la suprema autorità in Israele. I rappresentanti del sinedrio si dividevano in quattro classi o caste: sacerdoti, scribi, farisei e anziani ; in genere si usa la for- ma abbreviata, cioè u- no o due nomi per in- dicare tutti, cioè la «casta» globale del- l’autorità ufficiale. Nei vangeli trovia- mo molto spesso questo utilizzo: «Scribi e farisei» op- pure «dottori della legge» o anche «farisei e dottori della legge», e ogni volta s’intende la totalità del sinedrio, cioè di chi esercita autorità. Luca quindi ci vuole par- lare dell’atteggiamento uffi- ciale della religione del tempo di Gesù, qui rappresentata dal figlio «anziano», che escludeva dalla salvezza «i pubblicani e i peccatori» (Lc 15,1), nella para- bola rappresentati dal figlio più giovane. Da ciò rileviamo che la parabola non ha il compito di suscitare un com- portamento etico, cioè non è scritta per insegnarci a es- sere più buoni e accoglienti, ma ci insegna qual è la pro- spettiva di Dio che si manifesta a noi in un piano di sal- vezza, rivelato e proclamato da Gesù, affinché noi potes- simo prenderlo come modello di vita e di testimonianza. S INAGOGA E CHIESA SCOMUNICATE Nel tempo in cui scrive Lc (seconda metà del sec. I d.C., anni 80-90), c’è una fortissima tensione che conduce al- la separazione totale, con un atto di scomunica reciproca, tra la comunità cristiana ormai consolidata e la sinagoga anche della diaspora: gli ebrei accusano i cristiani di es- sere traditori della Toràh di Mosè e quindi li considerano «apòstati»; i cristiani, al contrario, considerano gli ebrei ciechi, che non sanno vedere il compimento di tutte le
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