Missioni Consolata - Maggio 2008
16 MC MAGGIO 2008 MYANMAR spressione della volontà della mag- gioranza del popolo?». Parole che hanno lasciato tutti sconcertati, anche perché i maggiori esponenti della cosiddetta Genera- zione 88, i veterani delle manifesta- zioni del 1988, erano stati arrestati da pochi giorni.C’è voluta ancora Aung San Suu Kyi, quando si è affacciata brevemente dalla sua casa, per ricon- ciliare il partito con il popolo.Ma le dichiarazioni di U Lwin dimostrano quanto distante sia anche l’opposi- zione dalle reali esigenze della gente. Gli appelli acritici a favore dell’Lnd e contro la giunta militare birmana levatisi da numerose piazze europee si scontrano da una parte con la sfi- ducia che operatori umanitari stra- nieri e intellettuali birmani all’interno del Myanmar nutrono verso i leaders dell’opposizione e dall’altra con la necessità della nazione di avere un e- sercito forte per restare unita. «L’opposizione è fortemente disu- nita e i membri dell’Lnd non sono poi molto differenti dai militari - af- ferma uno storico birmano pur sim- patizzante di Aung San Suu Kyi -. Guardo con apprensione il giorno in cui il popolo acclamerà la raggiunta democrazia, perché allora si aspet- terà stravolgimenti economici e so- ciali che nessuno è in grado di garan- tire a breve termine». La stessa « Lady », all’inizio della sua carriera politica, subodorando la pos- sibilità che alcuni membri del partito sfruttassero la loro posizione per fini personali, avvertì che «alcuni politici cercano di aiutarmi in vari modi. Io voglio essere chiara con loro, dicen- do che se lo fanno per ottenere posi- zioni di potere per loro stessi, non li appoggerò in alcunmodo».Una pu- ra. Una delle poche. Mi consolo con quello che mi ha ri- ferito un comico bandito dal regime, quando gli ho confessato gli stessi dubbi: «Ci salverà la religione buddi- sta, la fede inconscia e profonda dei birmani verso il fato e verso la magia. Se qualcosa non andrà come ci si a- spetta, potremo sempre dire che era destino, che le stelle non erano favo- revoli. E diremo loro di aspettare...». Tutto in Myanmar rotea attorno al- l’astrologia, in particolare la politica. Se il 9 è il numero considerato fortu- nato dai militari, l’8 lo è per l’opposi- zione. «Forse dobbiamo solo cambia- re numeromagico...» continua il co- mico. L’8, infatti, non ha portato molta fortuna ai dissidenti, visto che le manifestazioni iniziate l’8 agosto (8° mese dell’anno) 1988 alle ore 8.08 del mattino, sono terminate in un ba- gno di sangue. CHI LIBERERÀ AUNG SAN SUU KYI? C hi libereràAung San Suu Kyi? In Europa e nel mondo esistono diversi movi- menti che si occupano di informare l’opinione pubblica della situazione bir- mana e di non far dimenticare ai governi ciò che sta accadendo nel paese asiati- co. Ma, oltre a queste organizzazioni più o meno volontarie, che influenza hanno i politici su Pyinmana (la nuova capitale del Myanmar)? Neppure i 59 capi di sta- to, firmatari nel 2007 della lettera che chiedeva alla giunta di liberare Aung San Suu Kyi, sono riusciti a convincereThan Shwe ad aprire il cancello del numero 54 di University Avenue . Non che le firme apposte in calce all’appello rappresentassero la purezza, o- nestà e incorruttibilità della politica mondiale. Kim Dae Jung, Junichiro Koizumi, Mahatir Mohammad, sono stati a capo di nazioni che con la giunta birmana han- no concluso e continuano a concludere lucrosi affari, alla faccia del boicottaggio totale invocato da Suu.Ma anche in casa nostra, la classe politica non si distingue per la percezione del problema Myanmar. Lo ha dimostrato ultimamente il buon Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, il quale, durante il comizio del 1° maggio 2007 a Torino, ha inveito contro la brutale giunta militare birmana, presentando una Aung San Suu Kyi al maschile, sindacalista (sic!) e pronuncian- do il nome Kyi con la c dura (“chi” anziché“ci”).Dif- ficile, di fronte a una sfilza di errori così grossolani e racchiusi in poche frasi, pensare a una deprecabile coincidenza.Del resto, nessuno in platea sembra es- sersene accorto (ma quanti, allora, ancora prima che i monaci scendessero nelle strade, sapevano esatta- mente di chi si stava parlando e dove si trovava il Myanmar?). I militari birmani sanno quanto difficile sia offrire al mondo una facciata accettabile del loro regime, ma sono anche a conoscenza del fatto che il frinio delle cicale sovrasta l’esemplare lavoro silenzioso delle for- miche. Alla fine saranno loro, le formiche e non la po- litica, a salvareAung San Suu Kyi. Una via di Yangon, «normalizzata» dopo la repressione della rivolta dei monaci buddisti. Nelle campagne del Myanmar la popolazione è ancora legata ai sistemi di vita tradizionali.
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