Missioni Consolata - Aprile 2008

60 MC APRILE 2008 liberatore: «Ecco il tuoDio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’E- gitto» (Es 32,4). La folla, complice il sacerdote A- ronne, fece festa al nuovo Dio : «Domani sarà festa in onore del Signore. Il gior- no dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunio- ne. Il popolo sedette per mangiare e bere» (Es 32,5-6). In Luca, nel banchetto di festa per il figlio ritornato, il vitello non è adorato, ma ucciso; non si fa festa «davanti al» vitello, ma perché il figlio minore è tornato alla vita. Con questo banchetto, il padre della parabola reintegra il figlio sottraendolo all’idolatria del vitello dietro al qua- le si era perduto, prostituendosi e lo restituisce all’ado- razione del Signore e Dio di Mosè, il Dio dell’alleanza del Sinai. Colui che con un solo gesto aveva rinnegato la Toràh , ora nel sacrificio del vitello annienta tutte le ido- latrie passate e si apre a un futuro da dove potrà fare fe- sta davanti al Signore Dio suo e dei suoi padri. I L VITELLO DELL ’ ODIO L’espressione intera «il vitello, il/quello grasso» ricorre tre sole volte e solo in Luca ed esclusivamente nella para- bola del «figliol prodigo». Della prima ce ne stiamo occu- pando ora; la seconda volta è in bocca ai servi, che infor- mano il figlio maggiore del ritorno del fratello e del fatto che «tuo padre ha fatto ammazzare il vitello, quello gras- so» (v. 17). In questa seconda citazione la costruzione in greco è uguale alla prima, cioè con la ripetizione dell’ar- ticolo si mette in evidenza la «singolarità» di «quel vitello». Il figlio maggiore si arrabbia e si scoccia per il ritorno del fratello che viene a sconvolgere i suoi piani e accusa il padre con veemenza: «Per lui ha ammazzato il vitello grasso» (v. 30). In questa terza volta il testo greco cambia, non ripete più l’articolo davanti all’aggettivo. In italiano non si riesce a esprimere la differenza tra le due costru- zioni: il vitello che nelle prime due citazioni precedenti era «quello e non un altro», qui, in bocca al fratello mag- giore diventa «il vitello grasso», cioè un vitello qualsiasi, uno della mandria. Al fratello maggiore da fastidio che il padre abbia pre- so «un» vitello per festeggiare il fratello. Anche se il padre avesse preso un pollo, o un uovo, o un dattero, per lui sa- rebbe stato sempre e comunque uno spreco perché il fra- tello non merita nulla. Il testo greco ci dice la diversità di atteggiamento interiore attraverso l’uso delle parole e per questo è importante studiare la scrittura e appro- priarsi degli strumenti di lettura per cogliere anche le sfumature e non perdere il sapore della Parola che a noi giunge attraverso le parole . Per questo figlio maggiore, senza fede e senza umanità, il padre ha solo sperperato ancora una volta un pezzo del suo patrimonio per acco- gliere il figlio/fratello come ospite di Dio. In questo at- teggiamento, il figlio maggiore è un vero ateo, un reli- gioso praticante ateo: l’opposto del padre. crificato a Bàal: un sacrifi- cio di purificazione (v. 28). Il vitello, quello grasso , è u- na spia forse per dirci che in questo modo il figlio è reintegrato nell’ortodossia che aveva rinnegato, an- dandosene «in un paese lontano». Nel vangelo nulla è detto per caso o a casac- cio. Il figlio aveva messo in moto un processo di morte, abiura, distruzione, blasfe- mia; ora tutto si annulla nel segno de «il vitello, quello grasso», sacrificato per la festa della risurrezione del figlio. I L VITELLO DELL ’ ACCOGLIENZA OSPITALE Altri due testi famosi ci sembrano più attenenti di ogni altro con il testo lucano. Il primo racconta la visita dei tre personaggi misteriosi ad Abramo, alle querce di Mamre (Gen 18,1-15). Per dare risalto alla sua ospitalità acco- gliente: «All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vi- tello tenero e bello e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo» (v. 7). Il testo greco usa il termine « moschà- rion », un diminutivo per dire «vitellino»; e per sottolinea- re la portata della scelta aggiunge due aggettivi che qua- lificano il vitellino come ( letteralmente ) «tenero e bello». Qui il vitello è segno dell’ospitalità e accoglienza dello straniero, che nella cultura semitica è sempre il segno della Presenza di Dio. Rifiutare lo straniero è rifiutare Dio e porsi al di fuori della sua comunione. Prendendo «il vi- tello, quello grasso», il padre si mette sulla scia di Abramo e accoglie il figlio che torna come se accogliesse la Shekinàh di Dio . Ritorna da un paese lontano e stranie- ro; ritorna da straniero perché aveva rinnegato il suo po- polo; ora lo straniero è accolto da figlio e così il padre rende visibile la Presenza di Dio. Il Dio dei padri che il fi- glio aveva abbandonato, dilapidato, offeso, infangato con la sua vita di uomo «senza salvezza» (Lc 15,13), ora ritorna di nuovo nel figlio distrutto, che si presenta al padre non più come figlio, ma come servo, come straniero che chie- de un salario per vivere. Il vitello non è solo lo strumen- to per la festa del ritorno del figlio, esso è il simbolo sa- crificale di una gioia festosa perché è stata ricostituita la discendenza patriarcale e restaurata di nuovo la storia della salvezza che il figlio aveva spezzato. Il padre ritorna a essere il patriarca che riceve l’erede, mentre il figlio è il futuro che si riannoda al suo passato. Il figlio che era di- ventato «senza salvezza» (Lc 15,13) ora rientra a pieno ti- tolo nella storia della salvezza patriarcale. I L VITELLO DELL ’ IDOLATRIA Il secondo testo racconta del vitello d’oro (Es 32,1-6). La prima generazione che visse l’esperienza del deserto non esitò a lasciare il Signore durante l’assenza di Mosè che stava sul monte Sinai per ricevere la Toràh scritta e o- rale. Approfittando della lontananza del profeta, la folla riuscì a corrompere anche il sacerdote Aronne, che fuse l’oro raccolto tra la massa e costruì l’idolo per eccellenza, prototipo di tutte le prostituzioni future d’Israele e della chiesa: un vitello. Un vitello d’oro. In greco si usa il ter- mine già visto: mòschos . Essi lo adorano come loro Dio e «Adorazione del vitello d’oro» nell’interpretazio- ne di Nicolas Poussin.

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