Missioni Consolata - Aprile 2008
MISSIONI CONSOLATA MC APRILE 2008 43 pere lo stato di costante isola- mento a cui è sottoposto un indi- viduo detenuto. Ma la cosa più bella della sezione Polo universi- tario è che lì qualcuno, qualsiasi cosa tu dica, ti sta ad ascoltare , indipendentemente dal reato, dal passato, dalla posizione sociale e da ogni altra sovrastruttura che maschera. Come sezione all’interno del carcere, il Polo consente ai dete- nuti di migliorare non solo le proprie condizioni di vita ma al- tresì la propria considerazione di sé. La maggior parte delle per- sone ospitate sono state condan- nate a pene di reclusione della durata di alcuni anni, e la possi- bilità di usufruire di celle singole e di computer, l’opportunità di incontrare quasi ogni giorno pro- fessori universitari, dottorandi, i ragazzi del servizio civile, non- ché l’eventualità di conseguire una laurea, sono senz’altro il mi- gliore stimolo per non buttare via il tempo della pena. Oltre ai corsi di laurea in scienze politi- che e in giurisprudenza, si svol- gono incontri con musicisti, scrittori, giornalisti, attori di tea- tro, che sono occasione di con- fronto fra storie personali profondamente diverse e che consentono di sviluppare un senso di autocritica, necessario per la vita al di là delle sbarre». RICORDANDO CESARE BECCARIA La Costituzione parla di riedu- cazione all’interno del carcere. Ma il carcere è una struttura to- tale, che allontana la persona dalla propria famiglia, dai propri amici, dalla sicurezza della vita quotidiana, da quelle piccole cose come l’essere chiamato per nome . Impedire all’individuo di prendere decisioni sull’orga- nizzazione della propria vita, sorvegliarlo costantemente e co- stringerlo ad abituarsi a uno stile di vita coatto, non significa rie- ducare ma «prigionizzare». E la prigione, si sa, è una «scuola del crimine». Foucault ha scritto che «la pri- gione è la vendetta della società contro la giustizia». Noi diciamo che il Polo universitario, così come ogni altro serio progetto in grado di aprire le porte del car- cere e le menti dei detenuti, è la ceri italiane, o invece recarsi in carcere e seguire direttamente e in modo continuativo la forma- zione degli studenti, anche attra- verso il dialogo e la conoscenza personale. È per questa ragione che tutti coloro che sono coin- volti in questa esperienza cre- dono fermamente di poter realiz- zare quel percorso che gli stu- denti detenuti, in un documento presentato alcuni anni fa, ave- vano dichiarato di voler seguire: detenuto; detenuto-studente; studente-detenuto; libero-lau- reato. Alcuni risultati, pur tra molte difficoltà, li abbiamo già ottenuti con 10 laureati e il reinserimento di alcuni nella società e nel mondo del lavoro. «C’È QUALCUNO CHE TI ASCOLTA» «Il Polo universitario - hanno scritto alcuni studenti carcerati -, prima di essere una sezione al- l’interno di un carcere, è un gruppo di persone. Tra queste persone ci sono studenti, profes- sori universitari, volontari, scrit- tori, artisti, giornalisti, educatori, direttori, pochi agenti peniten- ziari, mi piacerebbe pensare per assurdo che non ci sono dete- nuti. Perché il progetto Polo uni- versitario permette alla cultura di entrare in carcere quotidiana- mente, di aprire le porte. Cultura significa libertà, comunicazione soprattutto, analisi critica. La co- municazione è la sacra scintilla che si trasmette da uomo a uomo, essa è l’essenza della li- bertà... Il Polo universitario per- mette al detenuto di spogliarsi dell’etichetta che gli hanno affib- biato, e al di là della maschera ri- trovarsi, come persona, libera di parlare. Cultura non significa stare sui libri dalla mattina alla sera. Essa ha bisogno di spazio, d’incontro, di confronto, di attività. E il Polo universitario svolge un ruolo at- tivo e allo stesso tempo difficile in questo senso. Al suo interno le persone s’incontrano al di là dei muri e delle finestre a sbarre e dei 14 cancelli che dividono le persone di dentro dalle persone di fuori. Si creano così le basi per imparare e mettere in pratica va- lori come l’amicizia e la solida- rietà, valori importanti per rom- vendetta della cultura contro l’ingiustizia, o addirittura contro la prigione. Per concludere vorrei nuova- mente sottolineare, con le parole di Gian Mario Bravo, che il Polo universitario per studenti dete- nuti apre il carcere all’esterno, crea un contatto con la società, nella convinzione che chi ha de- viato debba ritornare in essa più consapevole, più preparato ad affrontarne i rischi, dotato di qualche strumento in più. Per questo motivo apporta un contri- buto, forse non elevato da un punto di vista numerico, ma si- curamente significativo per l’impatto con la società civile, per il recupero, la riabilitazione, la risocializzazione di persone che in qualche modo hanno «sbagliato» ma non per questo devono vedere sminuiti i loro di- ritti di uomini e cancellate le loro potenziali capacità intellettuali. Il Polo dunque porta un contributo affinché il mondo del carcere, in un settore di decisiva rilevanza quale è quello della formazione, dell’educazione e qualificazione permanenti, possa venir visto non solo in funzione della pena, ma anche e soprattutto per la riabilitazione, come già sostenne più di due secoli fa Cesare Beccaria. ■ (1) Gian Mario Bravo (allora preside della Facoltà di Scienze politiche e infaticabile promotore e realizzatore del progetto), Dora Marucco (che è stata la prima dele- gata del Rettore per il Polo universitario), Guido Neppi Modona, Davide Petrini (ef- fettiva anima del nucleo), Luigi Berzano, Federico Cereja, Franco Prina, e la sotto- scritta, cui si sono poi associati i docenti di giurisprudenza Mario Chiavario e Claudio Sarzotti, fino a raggiungere, nel corso di questi dieci anni, il numero di circa 40 do- centi delle due Facoltà. (Cfr. la testimo- nianza di G.M. Bravo al Convegno Carcere e società: il ruolo della cultura universita- ria , Atti del Seminario, 4 ottobre 1999, a cura di A. Chiribiri, Tirrenia Stampatori, 2000, pp.115-119). (2) Nel periodo ottobre 2005-ottobre 2006 l’Università ha realizzato un progetto di servizio civile dal titolo «L’università al servizio di nuova cittadinanza», che ha vi- sto l’impiego di 4 volontari/e che hanno svolto un’attività di supporto didattico; il progetto è ripartito da ottobre 2007 con 4 nuovi volontari. (3) Pietro Buffa, «I territori della pena. Alla ricerca dei meccanismi di cambiamento delle prassi penitenziarie», Ega, Torino 2006.
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