Missioni Consolata - Aprile 2008

DOSSIER 42 MC APRILE 2008 Questa iniziativa è utile anche per molti docenti che, con il loro bagaglio di inevitabili pregiudizi, si sono recati in carcere e si sono forse sorpresi del mondo che vi hanno trovato. Si impara molto di più a riguardo della pena e della giustizia dall’impatto emo- tivo che si subisce entrando in un carcere che dalla lettura di tanti libri. Quanti luoghi comuni sul carcere vengono sfatati ap- pena si faccia esperienza, anche sommaria della realtà materiale di un istituto penitenziario, dei vincoli, condizionamenti, impe- dimenti, regolamentazione dei tempi..., quelli che l’ex direttore della Casa circondariale Lorusso- Cutugno, Pietro Buffa, ha defi- nito i «supplementi di pena», cioè i riti, le mortificazioni, le si- tuazioni frustranti a cui sono sot- toposti i detenuti (3). UN’ESPERIENZA CHE NASCE DALLA STORIA Anche se esistono Poli univer- sitari in altre carceri, quello di Torino è l’unico nel contesto ita- liano in cui i docenti tengono i corsi, esaminano gli studenti, or- ganizzano le commissioni per la discussione delle tesi di laurea all’ interno della struttura car- ceraria . Forse si può spiegare come mai è sorta proprio a Torino l’esperienza del Polo universita- rio se si richiamano alla memoria due precedenti illustri, contem- poranei della notevole attività di assistenza e di conforto dei car- cerati e dei condannati a morte svolta da San Giuseppe Cafasso. Nel 1833 Carlo Alberto, che in- tendeva mutare la funzione del carcere da semplice luogo di re- clusione e di pena in un’istitu- zione tesa alla rieducazione ci- vile del detenuto, aveva affidato a Cesare Alfieri di Sostegno e a Cesare Balbo l’incarico di pro- porre uno schema di riforme e di miglioramento da introdursi nelle carceri. Insieme elabora- rono, dopo aver condotto fre- quenti visite alle varie strutture carcerarie, un progetto per la co- struzione di una prigione mo- dello capace di contenere 400 detenuti, che avrebbe dovuto ri- spondere a requisiti di sicurezza, igiene e solidità. Il progetto fu poi abbandonato, ma ripreso da Vittorio Emanuele II con l’edificazione del carcere «Le Nuove» nel 1869. Ben più efficace, concreta e moderna era stata già nel 1821 l’attività di Giulia di Barolo in fa- vore delle carcerate. Non po- tendo, durante le sue visite, par- lare apertamente con le dete- nute, perché era obbligatoria la presenza del custode, Giulia di Barolo ottenne di farsi chiudere a chiave in cella come se fosse an- ch’essa prigioniera, per cono- scere più a fondo le condizioni di vita delle carcerate e i loro pro- blemi. Fra i molti risultati da lei ottenuti vale la pena poi ricor- dare che si adoperò personal- mente perché venissero istituite carceri solamente femminili, or- ganizzò corsi di alfabetizzazione e fornì i mezzi perché le dete- nute avessero un’occupazione retribuita. Giulia scrisse, nelle sue Memorie sulle carceri, che la detenzione non deve essere sol- tanto punitiva ma anche rieduca- tiva, che «mai l’orrore del cri- mine faccia trattare con di- sprezzo il criminale». Non vorrei che il confronto sembrasse improprio o presun- tuoso, ma non c’è dubbio che vi è una grande differenza, anche a livello culturale e formativo, tra il permettere ai detenuti di essere iscritti all’Università e di soste- nere gli esami nelle sedi universi- tarie, come avviene in altre car- ceri italiane, o invece recarsi in Torino, Le Vallette: Anna Cella- maro, educa- trice; a lato, il suo roman- zo, incentrato su quelle te- matiche car- cerarie con cui l’autrice quo- tidianamente si confronta.

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