Missioni Consolata - Aprile 2008

DOSSIER 36 MC APRILE 2008 nessi al disagio economico del- l’autore del reato. Nella spiega- zione delle cause la ricerca è con- dotta sul passato («la causa pre- cede e produce l’effetto»): da qualche tempo assume importan- za nell’interpretazione la man- canza di futuro e prospettive, in- troducendo nell’analisi la convin- zione che il reato più che nel passato trova la sua motivazione nella problematicità del futuro. Talvolta l’analisi è pregiudiziale e marcata da «indesiderabili dif- ferenze», riscontrabili come stig- mi visibili nell’ asociale e nell’an- tisociale . Il giudizio del passato diventa pregiudizio esistenziale che predetermina il futuro e con- solida la contrapposizione in ter- mini duali. L’ indulto (provvedimento di clemenza adottato recentemente dallo Stato e giustificato per ri- durre il sovraffollamento nelle carceri ritenuto intollerabile ri- spetto alla capienza) ha determi- nato la scarcerazione di 26.731 detenuti (16.460 italiani e 10.271 stranieri) ma è stato giudicato in realtà non solo inefficace perché completamente estemporaneo ed estraneo ad una concertata pro- grammazione e pianificazione di opportunità concrete, sufficienti, coerenti, fruibili ma anche con- troproducente, perché l’opinione pubblica l’ha recepito come ri- nuncia da parte dello Stato a ga- rantire la certezza dell’esecu- zione della pena , perché i bene- ficiari dell’indulto sono stati collocati nelle stesse condizioni nelle quali si trovavano quando avevano commesso il precedente reato, perché i beneficiari non hanno fatto nulla per rendersene meritevoli. IL DETENUTO: FUORI DALLA SOCIET À ? Che senso ha la pena detentiva nella nostra società? Intanto la pena deve essere la ri- sposta istituzionale al comporta- mento creato accertato; deve es- sere l’ultima ratio alla quale si fa ricorso, adoperando ogni mezzo per riuscire ad intercettare i segni precursori e indicatori dello stato di disagio e di devianza per inter- pretarli e per predisporre risposte attinenti, praticabili, immediate, concrete prima che il comporta- mento acquisisca la caratterizza- zione di antisocialità e di viola- zione della legge. Durante la pena da parte delle Istituzioni, della società non deve essere espresso un mandato di delega ampia o addirittura di ri- nuncia a continuare a prendersi carico della persona in carcere. Il detenuto, anche quando è affida- to all’Istituzione penitenziaria perché sia «controllato, privato della libertà e rieducato», conti- nua a far parte della società e la dialettica tra individuo e società non solo non deve interrompersi, ma deve diventare più continua e intensa perché il processo di for- mazione e di educazione possa essere attivato e realizzato. La pena detentiva è di fatto una parentesi più o meno lunga della vita della persona: prima e dopo la carcerazione la persona è inse- rita nel proprio contesto familia- re, lavorativo, sociale; tra il prima e il dopo più che una cesura, de- ve esserci un collegamento met- tendo in moto un’azione per il re- cupero del passato che risulta an- cora positivo e costruttivo per la realizzazione del progetto di vita futura. La condanna e la pena (inclusa la detenzione) sono necessarie ma debbono essere giuste: ne- cessarie per la società, per la vit- tima, per l’autore del reato; giu- ste perché la pena non può esse- re contro la persona in quanto ne rispetta la dignità ed è occasione per mettere in moto azioni conte- stuali (soggettive e socio-ambien- tali). La pena costituisce un patrimo- nio conoscitivo ed esperienziale utilizzabile come fattore di pre- venzione secondaria per se stes- si in quanto autori di reato e co- me prevenzione primaria per gli altri perché le esperienze esisten- zialmente sono individuali ma co- noscitivamente sono universali, trasferibili, condivisibili. La pena non deve essere un tempo vuoto e insignificante ma una esperienza per ricomprende- re e rimodulare il passato e per elaborare un progetto di ricollo- cazione nel contesto esterno al carcere e di riproposizione di ruo- li (familiare, genitoriale, sociale, lavorativo,...). Non è superfluo ri- badire che per i detenuti, come per ognuno di noi, il presupposto per riuscire nella realizzazione di un progetto è costituito dalla combinazione simultanea e con- testuale di condizioni soggettive o individuali e di condizioni og- gettive o socio-ambientali. Anche in merito a questo tema la bioetica e l’etica, secondo l’approccio del personalismo, of- frono spunti di riflessione atti- nenti perché esse dichiarano e as- sicurano che dal concepimento al- la morte l’essere umano ontologicamente ed essenzial- mente è persona e mantiene la sua dignità, unità, identità e con- tinuità di persona non solo se è genio, eroe, santo ma anche se è autore di reato. L’ordinamento penitenziario, art.1, afferma che « il trattamento penitenziario deve essere confor- me ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della per- sona ». Tuttavia le affermazioni di prin- cipio possono restare solo mere enunciazioni quando tra la fun- zione (gestione, controllo, tratta- mento durante la pena) e la per- sona (dell’operatore, dell’utente, del detenuto) non esiste una cor- relazione stretta e dinamica. CARCERE: NON-LUOGO, NON- SPAZIO, NON-RELAZIONE Il carcere è un non-luogo, non- spazio, non-relazione dove si spe- rimenta «l’etnologia della solitu- dine» (M. Augè) e dell’individuali- smo: non conviene fidarsi di alcuno e si teme che l’operatore (educatore, assistente sociale, psicologo) tenti di accreditare un profilo che possa danneggiare il detenuto. La pena è una dimensione di as- senza di tempo non solo perché si sperimenta il vuoto, ma perché si vanifica facilmente la prospet- tiva del tempo-risorsa e del tem- po-meta: la pena detentiva può di- ventare un contenitore di azioni e reazioni senza senso formativo. Il lavoro, che pure costituisce l’elemento più concreto del trat- tamento penitenziario, è di fatto una chimera perché al massimo riesce a coinvolgere il 15-18% dei detenuti, impegnati peraltro ge- neralmente in lavori scarsamente qualificati e nei lavori cosiddetti domestici negli Istituti. La contrapposizione tra esclusi ed inclusi si consolida nel pregiu- dizio fino a stravolgere il princi- pio costituzionale e ad esprimer-

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