Missioni Consolata - Aprile 2008
DOSSIER 32 MC APRILE 2008 in quanto la possibilità di svolgere lavori all’interno del carcere è ga- rantita per non più di un quarto della popolazione reclusa a causa di croniche carenze di finanzia- menti statali e della latitanza del- l’imprenditoria privata che, nono- stante la retorica sul capitalismo sociale, non sembra molto pro- pensa ad investire nel recupero delle persone che hanno sbagliato (la Corte costituzionale, infatti, ha ribadito che i detenuti non perdo- no i loro diritti di lavoratori...). Un altro diritto che i detenuti non dovrebbero perdere entrando in un carcere è quello alla salute. Tut- tavia, le condizioni della sanità pe- nitenziaria non sono certo in gra- do di garantire tale diritto per tut- te le persone recluse. La cosiddetta riforma Bindi, che ne prevedeva, dopo una fase di sperimentazione in alcune regioni, il passaggio al servizio sanitario nazionale è sta- ta a lungo inapplicata e forse l’anno 2008 sarà quello decisivo per una sua positiva realizzazione. Nel frattempo la situazione sanita- ria delle carceri si è fatta sempre più critica, appena migliorata dal- la boccata di ossigeno dell’indulto, ma ben presto di nuovo sotto pres- sione con l’incremento dei dete- nuti degli ultimi mesi. Anche qui tagli ai finanziamenti pubblici, re- sistenze di potentati corporativi, disorganizzazione complessiva dell’amministrazione penitenzia- ria, riluttanza della società extra- muraria di farsi carico della que- stione hanno prodotto una realtà sanitaria che, soprattutto in alcu- ne regioni, non può considerarsi a livello di un paese civile. Ma c’è un dato del mondo carce- rario che risulta ancor più inquie- tante: il tasso dei suicidi. Negli ul- timi anni in Italia tale tasso tra i de- tenuti ha superato l’uno per mille abitanti, il che significa che in pri- gione ci si ammazza 15 volte di più che nella società dei liberi. Proprio nelle ultime settimane quattro episodi di suicidi tra gli agenti di polizia penitenziaria han- no riproposto l’attualità del tema anche nell’ambito del mondo de- gli operatori penitenziari. Possia- mo considerarli un ennesimo esempio di morti bianche sul lavo- ro? Direi proprio di sì. Condizioni di sovraffollamento, stato di ab- bandono da parte della famiglia e degli operatori sociali, difficili rap- porti con i compagni di detenzio- ne o di lavoro, condizioni igienico- sanitarie degli stabilimenti peni- tenziari non idonee a costruire un ambiente di lavoro accogliente; tutte situazioni che incidono ne- gativamente tanto sui detenuti quanto sul personale di custodia e che contribuiscono ad aumentare quella dimensione di sofferenza umana che emerge dagli istituti di pena italiani. Jean-Pierre Faye a chi gli chie- deva una definizione di Europa ri- spondeva: «l’Europa è là dove non esiste la pena di morte». Affer- mazione ancor più significativa dopo la moratoria approvata dal- l’Onu proprio su istanza dei pae- si europei. Uno Stato che voglia definirsi eu- ropeo non può quindi accettare che sussistano nei propri istituti penitenziari delle condizioni che inducano suoi cittadini a privarsi di quel bene, la vita, per la protezio- ne del quale è stato costituito lo stesso patto sociale. ■
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