Missioni Consolata - Aprile 2008

12 MC APRILE 2008 MOZAMBICO famiglie i bambini crescono in una specie di anarchia; i genitori tentano, a volte, di intervenire per richiamarli all’ordine,ma non riescono a farsi ri- spettare; forse anche perché non sempre danno il buon esempio e non sempre si interessano del benes- sere dei propri figli. Di conseguenza, una volta cresciu- ti, molti figli non si occupano dei ge- nitori, specie quando sono anziani. E quando si indebolisce la solidarietà familiare, viene meno anche la soli- darietà verso le fasce più deboli della società, come malati, poveri, drogati. In un villaggio di Majune, un giova- ne drogato, sorpresomentre rubava, è stato bruciato vivo dal proprietario del negozio; l’assassino è in libertà, perché nessuno ha voluto testimo- niare contro di lui, sebbene l’omici- dio sia stato compiuto di fronte a molta gente. La domenica seguente, in chiesa, durante la messa, nessuno ha ritenuto fosse il caso di denuncia- re tale misfatto; l’ho fatto io negli av- visi parrocchiali, suscitando sorpresa e stupore tra la gente. LA «MANOTESA» Una volta non era così. Esisteva la «famiglia allargata», dove tutti si aiu- tavano in caso di bisogno: genitori e figli, zii e nipoti, cugini e altri membri della parentela.Oggi, nella «famiglia nuova», non sonomolti i genitori che hanno la fortuna di avere figli che si prendono cura di loro.Ho incontrato tanti anziani che hanno figli bene- stanti, funzionari pubblici o commer- cianti, che si sono dimenticati dei propri genitori. Anche questa situazione è una del- le conseguenze della lunga guerra ci- vile (1977-1992). Tanta gente è stata costretta ad abbandonare la propria casa per fuggire dalla violenza, crean- do la mentalità del «si salvi chi può», costringendo gli sfollati a pensare so- lo a salvare la propria pelle. Senza contare chemolti bambini sono cre- sciuti da soli, orfani, senza avere altri valori di riferimento se non quelli del- la violenza e del sopruso. La guerra ha diviso famiglie,distrutto valori, fat- to crescere una generazione priva di istruzione ed educazionemorale. Insieme all’egoismo, si sta affer- mando, a Majune come nel resto del paese, anche una «cultura della ma- no tesa». Se un bianco entra in un bar, o cammina per strada o viaggia in treno o in bus, incontra sempre qual- cuno che tende la mano per chiedere un aiuto. E non sono solo i poveri. La «mano tesa» sta diventando un malore endemico anche ai livelli più alti della società, da quando piovono gli aiuti internazionali, in dollari o eu- ro, per la ricostruzione delle strutture del paese, per iniziative di sviluppo nei 138 distretti in cui è organizzata l’amministrazione del Mozambico, per mantenere 140 mila funzionari, insegnanti, poliziotti, netturbini... Tali aiuti sono indispensabili per e- vitare il fallimento di tutta la nazione; ma provocano pure il fenomeno del- la corruzione a tutti i livelli e, soprat- tutto, la diffusione della «cultura del- la mano tesa», che a sua volta affievo- lisce l’iniziativa privata e aumenta il complesso di inferiorità. Mi è capitato spesso di vedere per- sone sgranare gli occhi per lo stupo- re di vedere un bianco andare a piedi o in bicicletta, o viaggiare nel casso- ne di un camioncino.Qui il bianco che si rispetti viaggia comodamente nella propria automobile.Anche più scioccante è stata l’espressione pro- nunciata da un alunno delle classi su- periori della scuola di Majune: «Ci è andata male: siamo nati negri». Non tutti i mozambicani si fanno abbattere dai pregiudizi razzisti; c’è anche chi lavora sodo per migliorare la propria situazione economica;ma anche in questo caso può capitare che amici e parenti lo apostrofino: «Adesso, vuoi metterti a fare il bianco mentre non sei altro che un negro come noi?». Se qualche amico ap- prezza il suo successo, gli chiede,ma- gari, l’indirizzo dello stregone che gli ha procurato la fortuna. ESSEREMISSIONARI AMAJUNE È questo l’ambiente in cui noi mis- sionari della Consolata ci troviamo a lavorare; e non è un lavoro facile. La missione di Majune conta 42 villaggi: 14 di essi hanno una comunità cri- stiana di una certa consistenza; altri tre villaggi contano appena uno o due cristiani, spesso infermieri o inse- gnanti di passaggio, in attesa di esse- re trasferiti in luoghi più comodi. La missione non è nuova. È stata fondata nel 1965; è intitolata a Santa Isabel (Santa Elisabetta), regina di Portogallo.Ma noi missionari della Consolata siamo presenti dal gen- naio 2005 con una équipe stabile, for- mata da tre missionari: il padre kenyano Felix Odongo, il brasiliano fratel Ayres Osmarin e il sottoscritto, missionario laico, incaricato della ca- ritas parrocchiale. I missionari che ci hanno precedu- to avevano avviato numerosi proget- ti di evangelizzazione e promozione umana: scuole, centri per la nutrizio- ne infantile, allevamenti di bestiame, orti, corsi di taglio e cucito...Ma la guerra e poi la partenza dei missio- nari, ha provocato il fallimento di vari progetti, anche perché la popolazio- ne non si è sentita interessata. «Ab- biamo bisogno di qualcuno che ci tolga le bende dagli occhi» mi confi- dava un vecchio catechista. Tre volontari, due cristiani e un musulmano, ricostruiscono la casa di una coppia di anziani emarginati nel villaggio di Molila (Majune).

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