Missioni Consolata - Marzo 2008
DOSSIE R UN «RIFUGIO» PER RICOSTRUIRE IL FUTURO < 8 Q I I loro nomi spesso contengono un messaggio di speran- za, un affidarsi a Dio: Blessed (Benedetta), Faith (Fede), ma anche Joy, Destiny... Eppure le loro storie parlano d' in- ferno. L'inferno della tratta di esseri umani, giovani donne, spesso poco più che bambine, comprate e vendute, sbat- tute sulle strade d'Italia, dove vengono usate e abusate per pochi euro. Sono loro, adesso, a riempire con le loro voci squillanti, i colori accesi dei loro abiti e un'immancabile e simpatica confusione, le stanze ancora tutte nuove dello shelter inaugurato l ' il luglio dello scorso anno a Benin City. È qualcosa di più di una casa di accoglienza: è un rifugio e allo stesso tempo qualcosa di dirompente per il contesto di Benin City. Un luogo che dice che le ragazze possono tornare e devono essere accolte. Che quello della tratta non è un viaggio a senso unico. C'è, anche se raramente e spes- so drammaticamente, un ritorno. È un luogo hello e diffi- cile questo shelter, perché dice quello che le parole sin qui non hanno detto o hanno detto molto poco: la tratta es i- ste. Ecco queste ragazze, ecco le prove. li potere simbolico, si sa, in Africa è molto forte. E que- sta casa di accoglienza per donne vittime della tratta - rim- patriate volontariamente o espulse dall'Europa e special- mente dall'Italia - costruita proprio nel cuore della città che ne alimenta più di qualsiasi altra il traffico, ha il sapore in- tenso di una sfida: ai tabù, all'omertà, anche alla paura. «Sono anni che lavoriamo a questo progetto e finalmen- te ne vediamo il compimento» dice suor Eugenia Bonetti, visitando lo she/fer appena inaugurato. La religiosa ci ha davvero creduto molto e non si è fermata di fronte a nes- sun ostacolo. «Ci sono voluti quattro viaggi e una grande determinazione per realizzare questo progetto. Ma so- prattutto c'è voluta la collaborazione di molte persone che hanno condiviso questo sogno». Alcune di loro erano lì anche per l'inaugurazione. Lo scorso anno, infatti, una delegazione italiana si è recata s i - no a Benin City, per esprimere la propria vicinanza a que- sto progetto e rinsaldare i legami di cooperazione che già esistono tra Italia e Nigeria. Il gruppo era tutto al femmini- le (con un'unica eccezione): donne che con le ragazze traf- ficate hanno condiviso un pezzo di cammino, quello che dalia strada ie ha condotte verso una vita nuova. Donne che lottano con coraggio, tenacia e amore per altre donne. So- no le suore delle molte case di accoglienza che in Italia o- spitano e aiutano queste giovani nigeriane. Si sono recate sin lì per rendersi conto di persona del contesto da cui ven- gono le «loro» ragazze e per condividere la gioia dell'aper- tura di una casa che non è molto diversa da quelle in cui lo- ro stesse operano, ma che è molto più vicina ai luoghi da cui provengono e a cui provano a ritornare. I nfatti, uno degli obiettivi fondamentali dello shelterè ac- cogliere temporaneamente le ragazze che rientrano per preparare adeguatamente il loro ritorno in famiglia. A questo scopo è fondamentale il lavoro che svolgono le suore nigeriane sul posto. «Loro stesse - spiega suor Eu- genia - negli anni '90, hanno cominciato a rendersi conto del problema. Le abbiamo invitate in Italia, hanno visto con i loro occhi dove finivano ie ragazze e si sono confrontate con le suore che lavorano qui da noi. Poi, hanno deciso di fare qualcosa». «Sino ad ora - spiega s/ster Florence - accoglievamo le ragazze che tornavano in Nigeria nei nostri conventi. Ma non è facile, né per loro né per noi. Non sono più abituate a rispettare alcuna regola, sono disorientate, spesso disperate. Molte hanno disturbi mentali; alcune vengono rifiutate dalie famiglie. C'era bi- sogno di un luogo appropriato dove po- 32 • MC MARZO 2008 tessero stare per un po' e che permettesse a noi di accom- pagnarle nel modo più adeguato». Non sta ferma un momento sister Florence. È sempre im- pegnata su più fronti con inesauribile energia. Avvocato di formazione, ha fatto di questa lotta contro la tratta e per il recupero delle vittime la sua ragione di vita. Nei '99, è sta- ta tra le fondatrici del Cosodow (Comitato per ii sostegno delia dignità della donne), un'organizzazion e volut a dali a Conferenza delle religiose nigeriane. Con lei lavorano altre suore, sia a Benin City che a Lagos (dove le ragazze ven- gono rimpatriate), oltre a due avvocati e molti volontari. «Il nostro è un lavoro delicato e rischioso - ammette - perché, da un lato, si tratta di ricostruire la vita e la dignità di persone fortemente traumatizzate, sottoposte a una vio- lenza disumanizzante; dall'altro, perché andiamo contro gli interessi di molte persone che su questa tratta vergo- gnosa hanno costruito un enorme business». L a realizzazione di questo shelterè un passo incorag- giante, innanzitutto perché è il frutto della collabora- zione di più enti e istituzioni della chiesa. Il terreno è sta- to acquistato da Caritas italiana, la costruzione è stata rea- lizzata grazie a un finanziamento della Cei (dell'8 per mille), il cantiere è stato seguito da un salesiano, don Vincenzo Marrone. A ciò va aggiunto tutto il lavoro che è stato fatto sul posto dalie suore nigeriane, che non hanno mai smes- so di accogliere le ragazze nei loro conventi, di collabora- re con le famiglie e sensibilizzare la popolazione. Ora, que- sto lavoro di network ha un nuovo fondamentale punto di riferimento: la Casa di accoglienza di Benin City. La struttura prevede l'ospitalità per un numero massimo di 18 ragazze. «Non di più - spiega sister Florence -, per- ché vorremmo creare il più possibile un clima di famiglia e perché le ragazze hanno bisogno di molte attenzioni spe- cifiche e di tanto lavoro. Su di loro e sulle loro famiglie». Molte si trovano davvero in una situazione di emergen- za. Anche quelle che rientrano volontariamente (pochissi- me in verità), grazie ai programmi àeWOrganizzazione in- ternazionale per le migrazioni (Oim), spesso hanno enor- mi problemi a reinserirs.i Peggio ancora quelle espulse, che si ritrovano a casa loro senza un soldo e con addosso ia vergogna di un fallimento. Non poche presentano problemi psicologici, alcune ve- re e proprie patologie. «Spesso - spiega la religiosa -, spe- cialmente all'inizio, vengono rifiutate dalle famiglie, non sanno dove andare, rischiano di finire nuovamente nelle mani di trafficanti o di persone senza scrupoli. Per questo hanno bisogno di una particolare attenzione e protezione». Tra i primi ospiti dello shelter c'è Jody che segue sister Florence come un'ombra. È da poco rientrata nel suo pae- se, ma è come se fosse stata catapultata su un altro piane- ta. È disorientata, un po' assente... La sua famiglia, dice, è in un villaggio lì vicino, ma lei non può tornare. Abbassa gli occhi Jody , fatica a raccontare. E allora s/sferFlorence si a l - lontana e spiega: «Non può tornare perché non la voglio- no. Sono arrabbiati, delusi. Jody rappresentava ia loro uni- ca fonte di reddito. Non so fino a che punto erano coscienti di quello che faceva in Italia. Sta di fatto che per loro signi- ficava un guadagno sicuro, ora invece è diventata solo un peso di cui farsi carico». S/sfer Florence tuttavia non è pessimi- sta. Sa che ci vuole tempo per tessere di nuovo dei legami. Intanto, aiutajody a im- parare un mestiere e a cavarsela da sola. Almeno ora ha una casa. In futuro si ve- drà... ii sorriso di Sister Florence.
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