Missioni Consolata - Febbraio 2008
MC FEBBRAIO 2008 75 La percentuale di sieropositivi è altissima ed è impossibile monitora- re l’estensione del contagio. A ciò si è aggiunta la povertà, aumentata negli ultimi anni dalla guerra civile. Per questo la gente accorre sempre numerosa al dispensario della mis- sione, ormai sfiduciata del servizio sanitario pubblico, dove il medico chiede ai pazienti non cosa si sento- no, ma quanti soldi hanno e, se que- sti sono insufficienti, rifiuta ogni prestazione. Benché le strutture del dispensario siano modeste, le suore riescono a fare miracoli. Ho avuto l’opportunità di visitare anche le due missioni di Dianra e Marandallah, nel nord del paese. Anche se nella seconda missione sono presenti da appena quattro anni, i missionari hanno costruito un dispensario con un reparto mater- nità e uno di medicina generale. Anche se i lavori non sono ancora completati (c’è da scavare un pozzo e completare l’arredamento di alcuni locali), alcuni reparti sono entrati in funzione il 15 agosto scorso, unico punto sanitario nel raggio di 90 km, in un territorio in cui occorrono 5 ore con un fuoristrada per percorre- re tale distanza. Benché la popolazione del nord sia in maggioranza musulmana, i missio- nari godono grande rispetto sia da parte della gente che delle istituzio- ni. Ma il loro lavoro rimane ancora difficile. Sulle strade del nord i posti di blocco dei ribelli armati sono fre- quenti: nessuno passa senza essere controllato. S ono tornato a Sago giusto in tempo per assistere a un’altra iniziativa: quest’anno, per la prima volta, i missionari hanno orga- nizzato un campo estivo di 15 gior- ni. Vi hanno partecipato 116 bambini di età compresa fra i 7 e i 12 anni, divisi in 5 gruppi, ognuno con un nome impegnativo: perdono, rispet- to, unione, tolleranza e solidarietà. Nell’arco della giornata ciascun gruppo svolgeva delle attività pro- grammate, cui veniva assegnato un punteggio. Al termine del periodo è stata stilata una classifica e sono stati assegnati i premi: il 1°, 2° e 3° qualificato hanno ricevuto un qua- derno, due biro, due caramelle e una merendina; stesso premio, meno il quaderno per 4° e 5° gruppo. Con mio grande stupore, ho potuto vedere come, nonostante la mode- stia dei doni, i volti dei bambini era- no irradiati da gioia e sorrisi indi- menticabili. Ho lasciato Sago con ricordi incan- cellabili. Prima di andare in Africa, avevo tanta stima e ammirazione per i missionari; vedevo in loro l’avventu- riero che per amore di Gesù affronta pericoli di ogni genere e a qualsiasi costo. Dopo questa esperienza devo dire che sono «eroi» autentici e straordinari. Li ho visti affrontare ogni giorno situazioni incredibili: attraversare corsi d’acqua, percorre- re strade (se tali si possono chiama- re) inaccessibili, con il fango fino al ginocchio (eravamo nella stagione delle piogge), inoltrarsi nella foresta per raggiungere i villaggi dove cele- brare la messa, visitare e confortare i malati, amministrare battesimi e celebrare funerali. Non curanti, spes- so della febbre malarica. Ho visto suor Bernadette con 39° di febbre andare a piedi al dispensario che dista 3 km dal convento: è l’uni- ca infermiera e non può mancare all’appuntamento con i tanti malati che attendono il suo aiuto. Il 24 settembre, all’aeroporto di Abidjan, ho salutato mio figlio per rientrare in Italia, ma una parte di me è rimasta laggiù, in Costa d’Avo- rio. Il ricordo dei giorni trascorsi in Africa con i missionari della Conso- lata lo porterò per sempre nel cuore. Pietro Pettinari VITA DA CANI L e tante esperienze meravigliose vissute in Costa d’Avorio non riescono a cancellarne una vera- mente traumatica: vedere il trattamento disumano e bestiale riservato ai detenuti di quel paese. Ho visitato infatti il carcere di Sassandra, uno stabile idoneo per ospitare 200 persone, che invece racchiude 460 detenuti fra uomini e donne. Sono ammassati in un locale dalle dimensioni di circa 15x6 metri, con al centro un corridoio largo circa un metro, ai lati del quale il pavimento in cemento è rialzato di circa 40 cm, in leggera pendenza verso il corridoio stesso. Su questi piani inclinati ci sono 3 file di stuoie sia a destra che a sinistra dove dormono i reclusi. La stanza è priva di finestre; solo in alto, all’altezza del solaio e per tutta la lunghezza della parete vi è una feritoia alta circa 20 cm con sbarre di ferro verticali, intervallate di una decina di centimetri. Al soffitto è appesa una rete metallica, tipo quella usata per la recinzione, tutta arrugginita. Ragnatele dappertutto. Appesi alla rete ci sono buste di plastica contenenti indumenti personali dei detenuti. Sono riuscito a carpire qualche informazione. Per quanto riguarda il vitto, l’amministrazione forni- sce 200 razioni, cioè quanti detenuti può contenere la casa. Ho notato, all’ingresso del carcere, sotto il porticato, un bidone in plastica nero, con tanto di coperchio, pieno fino all’orlo di acqua e fagioli, nient’altro: era il vitto per i malati offerto dalla Croce Rossa, mi spiegava uno del personale carce- rario. Molti detenuti, infatti, si ammalano di tubercolosi per la scarsa alimentazione, mancanza d’i- giene, di aerazione nei locali ed eccessivo affollamento. Vengo pure a sapere che alcuni detenuti sono in attesa di essere ascoltati e giudicati da 2-3 anni. È impossibile descrivere l’indignazione provata. Con tutte le organizzazioni umanitarie che ci sono nel mondo è mai possibile che nessuno dica niente? Non vengono a sapere nulla? Dove sono gli organismi internazionali che hanno il compito di denunciare e far rispettare i diritti umani? In Italia si fa tanto scalpore quando vengono denunciati i proprietari di canili per maltrattamento di animali; ebbene, il peggior canile in Italia è molto meglio del carcere di Sassandra. Per molti anni ho prestato servizio nelle forze di polizia e ho visitato numerose case di pena in Italia: anche le più vecchie sono alberghi a 5 stelle a confronto con ciò che ho visto a Sassandra. Al momento le uniche persone che si prendono cura dei detenuti, fornendo anche un supplemento di alimenti e medicinali, sono le suore di Santa Gemma Galgani, che a Sassandra hanno una casa. Ma le loro risorse sono sempre insufficienti di fronte a un problema così grave. Ho voluto raccontare anche questa esperienza sul trattamento dei detenuti di Sassandra perché lo sento come una questione di coscienza: mi sentirei in colpa se non lo facessi, nella speranza che qualcuno, con voce in capitolo, possa fare opera di sensibilizzazione e di pressione a favore di quelle persone. Un paese che lede la dignità umana nei suoi fondamentali principi non può definirsi civile e democratico, come i governanti della Costa d’Avorio vogliono farci intendere.
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