Missioni Consolata - Febbraio 2008

52 MC FEBBRAIO 2008 STATI UNITI L i ho visti impiegati in più settori: educazione, salute, promozione dei giovani, ecc... direi che in nessun caso hanno compiti operativi diretti: per esempio, quelli assegnati a un dispensario so- no incaricati solo della sensibilizzazione (niente cu- re). Tutto si riassume a due categorie: ci sono ragazzi che sanno fare qualcosa e ragazzi che non sanno fare niente. I primi sono impiegati in modo efficace nei settori in cui c’è più bisogno: penso soprattutto a quelli assegnati a dei licei pubblici come insegnanti di in- glese, chimica, fisica... Materie in cui il personale locale scarseggia e in cui la prestazione di un lau- reato americano si rivela molto utile. O penso an- che al volontario che in Mali ha lanciato l’idea del- le banche culturali (operazione volta a conservare e diffondere la cultura africana). Quelli che non sanno fare niente: si ritrovano ad a- vere compiti di animazione e sensibilizzazione presso qualche dispensario, centro per giovani, ecc... Il risultato del loro lavoro è tutt’altro che scontato. Se una ragazza americana che non ha mai visto un verme e non sa dov’è la Guinea deve andare in giro a parlare del «verme di Guinea», è pro- babile che il risultato non sia un suc- cessone. Di sicuro l’operazione ri- chiederà anche una mobilitazione abbastanza importante di altre per- sone in appoggio. Poi c’è chi semplicemente non sa fa- re niente e non fa niente. In questi ca- si i danni sono limitati. M i sembra che questo illustri bene il principio del Peace corps . Ovvero poco im- porta che il volontario abbia qualcosa da ap- portare, da dire o da fare: il principio che anima l’i- stituzione è che questa permette di formare gene- razioni di giovani americani che attraverso l’esperienza in un paese povero rientrano più sen- sibili, informati, aperti. Il Peace corps serve al «ter- zo mondo» molto meno di quanto questo serva al Peace corps e, attraverso di lui, agli Stati Uniti. Cre- do che questo fosse uno degli obiettivi di John F. Kennedy, padre dell’istituzione. Ma penso anche che questo rifletta tuttora un’idea che gli Usa hanno del resto del mondo: questo e- siste in funzione di quanto può apportare all’Ame- rica. I paesi poveri servono a far fare un’esperien- za umana a dei giovani, di cui approfitteranno so- lo gli americani. Il lato B di questo paradigma è che il semplice fat- to di essere americani è una fonte di legittimazio- ne della propria presenza. Soprattutto in un paese povero: io americano, per quanto ignorante, avrò sempre qualcosa da portare a te, africano magari multi laureato. Alcuni dati confermano questa mia ipotesi: 1. Non esiste selezione: se di buona costituzione fisica, qualunque americano dai 18 anni in su è ac- cettato. 2. I Peace corps godono di un forte riconoscimen- to sociale quando rientrano: facilitati sul lavoro e nell’ottenimento di borse per l’università. Molti ex fanno carriera in istituzioni internazionali... Fino a qui comunque stiamo parlando di un servi- zio globalmente innoquo. E al limite riuscito rispetto al primo obiettivo esposto sopra: è vero infatti che le condizioni molto rudi in cui vivono e lavorano i volontari permettono una grande prossimità alla po- polazione e una conoscenza del contesto invidiabi- le. Per esempio parlano tutti le lingue locali, e que- sto fa loro onore. V eniamo al sospetto che pesa sull’istituzione: che sia un’agenzia di informazione per il go- verno americano. Possibile, ma non direi che sia davvero un’agenzia. La mia opinione è che l’istituzione dei Peace corps non sia in origine un’agenzia, ma che sia sta- to e sia tuttora molto semplice per la Cia usarla come copertura per un buon nu- mero di suoi agenti. Insomma il Peace corps non è una spia, ma una spia può facilmente es- sere mandata in un paese come Pea- ce corps . Dopo di ché, credo che i rapporti d’attività che loro inviano siano tutti registrati in qualche servizio di infor- mazioni. Ma è difficile che il ragazzo che passa un anno sperduto nell’Africa profonda a fare poco o niente abbia delle informazioni interessanti per Washington. Imma- gino che con le tecnologie attuali gli Usa ne sap- piano di più da un satellite che da un volontario. D i sicuro i Peace corp s non sono tutti spie, ma questo è evidente. Molto probabilmente al- cuni di loro sono agenti che si passano per volontari. Difficile sapere il livello di connivenza tra la Cia e la direzione. Teniamo presente che i P eace corps dipendono dal Ministero dell’interno e non da quello degli esteri. Il fatto che siano tenuti a rispettare delle procedu- re di comunicazione in codice e delle procedure di sicurezza quasi militare, non significa granché, si pensi che il personale delle Ong in situazione di e- mergenza fa la stessa cosa. E che il ruolo di informazione del governo – tutto- ra probabilmente esistente – in realtà tocca un nu- mero limitato di volontari consenzienti e inviati in alcuni punti caldi ben precisi. Il resto sono ragazzi di buona volontà e spirito di avventura o solidarietà. Esistono molti siti e i blog fatti dai Peace corps . Che la Cia li utilizzi per ag- giornare i suoi archivi? L.A. QUEI GIOVANI DAL VISO ARROSSATO Voci dal campo

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