Missioni Consolata - Febbraio 2008
DOSSIER 42 MC FEBBRAIO 2008 Signor ministro, qual è la struttura agraria del Nica- ragua? «Il Nicaragua è un paese di piccoli produttori. Noi con- tiamo quasi 200.000 produttori, ma appena 1.300 di lo- ro sono grandi, cioè hanno più di 500 manzanas (una manzana equivale a 0,70 ettari, ndr). L’immensa mag- gioranza sono produttori con proprietà terriere che han- no tra 20 e 50 manzanas. Questo ci garantisce che, a di- spetto di una tendenza verso la concentrazione delle ter- re, per il momento la distribuzione di questa è equilibrata in Nicaragua. D’altra parte, però, abbiamo un problema strutturale: un produttore di 500 manzanas in Nicaragua è meno ricco di un produttore delle stesse dimensioni del Salvador o del Costa Rica, questo succede per un pro- blema di sviluppo tecnologico. In Nicaragua, con le tec- nologie disponibili, un produttore di 500 manzanas pro- duce le stesse quantità di un produttore di 100 manza- nas in Salvador». Quali sono stati i cambiamenti con il nuovo governo di Daniel Ortega in materia di sicurezza alimentare? «È ancora troppo presto per parlare di cambi nella si- curezza alimentare. Abbiamo ricevuto l’eredità di un de- cennio e mezzo di neoliberismo: per fa- re dei cambi nella struttura del sistema alimentare nazionale c’è bisogno di più tempo. Quel che possiamo assicurare è che esistono politiche del nuovo gover- no che ci portano ad aspettare per il fu- turo una migliore possibilità di alimen- tazione della gente, soprattutto della fa- miglia contadina nicaraguense che è quella più povera. Negli ultimi 16 anni, si sono spesi in materia di lotta alla po- vertà quantità di risorse economiche, da una parte dal bilancio statale, dall’altra dalla cooperazione internazionale. L’im- patto di queste misure è stato però ne- gativo: ogni giorno i poveri sono diven- tati più poveri e i ricchi più ricchi. Que- sto vuol dire che tutte le risorse spese per questo obiettivo in qualche maniera sono tornate alle élites che avevano gestito la loro distribuzione. Oggi invece stiamo lavorando nella produzione di alimenti da parte delle stes- se persone che poi li consumeranno, soprattutto nel set- tore rurale. Stiamo lavorando sul progetto “hambre cero” (fame zero), con l’obiettivo che la gente smetta di chie- dere cibo, perché ci sono stati molti programmi contro la povertà che regalavano cibo. Questo ha fatto diventare gran parte delle famiglie contadine dipendenti e di con- seguenza sempre più povere. In quest’ambito, stiamo consegnando beni d’investimento perché producano. La priorità del governo è la produzione alimentare, in primo luogo per i nicaraguensi, e soltanto successivamente per le esportazioni. Abbiamo cambiato radicalmente la con- cezione che avevano i governi anteriori, concezione che consisteva nel concentrare tutti gli sforzi produttivi per l’esportazione. Noi abbiamo scelto la via che ci porta a garantire la sicurezza alimentare nazionale». Parlando di politica estera, in che fase dell’applica- zione si trova il Trattato di libero commercio Usa-Cen- tro America (Dr-Cafta)? «Questo trattato commerciale ha ormai un anno di vi- genza. Noi crediamo che avrà un impatto negativo nel fu- turo del paese e in particolare nel suo settore agricolo. Perché è un trattato che nasce in totale svantaggio con gli Stati Uniti. Il Nicaragua è un paese con tecnologie mol- to arretrate in confronto al paese nordamericano. Noi non abbiamo irrigazione né macchinari né strade; in com- penso, abbiamo cronici black-out di energia elettrica. Inoltre, abbiamo una classe contadina quasi analfabeta. Dall’altro versante, gli Usa non solo posseggono tecno- logie avanzate ma sussidiano i propri produttori. Ci pia- cerebbe un trattato commerciale in cui potessimo com- petere almeno in eguaglianza di condizioni. Ma non è questo il caso». In questa situazione, che ruolo hanno gli accordi di as- sociazione con l’Unione europea (Epas)? «Questo tema è circondato da molte incognite. Noi aspiriamo ad avere buoni rapporti commerciali con l’Eu- ropa, ma non sono convinto che il mio paese sia in gra- do di avere i requisiti per entrare sul mercato europeo, perché l’Europa è uno dei maggiori protezionisti mon- diali delle proprie produzioni agricole. Ci piacerebbe che questi trattati, se non ci accordano delle preferenze a li- vello commerciale, almeno ci consentano di partecipare in condizioni di eguaglianza, ovvero che si eliminino i sus- sidi ai prodotti europei, la protezione al- le proprie produzioni e gli ostacoli non tariffari (ad esempio, il tipo di confezio- namento, di imballaggio e altre esigen- ze a cui i piccoli produttori del Sud non sono in grado di adeguarsi, ndr). È un te- ma complesso. Ho avuto l’opportunità di incontrare funzionari dei governi eu- ropei e sembrerebbe che loro vogliano un’associazione tra Europa e Centroa- merica che in futuro metta in condizio- ne i paesi poveri di entrare nei mercati europei. E da qui deve partire la nostra grande sfida: i nostri produttori, coope- rative ed associazioni, smettano di es- sere soltanto fornitori di materie prime ai grandi consorzi internazionali; essi debbono crescere ed attrezzarsi per trasformare la loro produzione in prodotti finiti, da poter commercializzare direttamente all’estero». Abbiamo visto i rapporti con gli Stati Uniti e quelli con l’Unione europea. Ci rimane l’«Alternativa bolivariana per le Americhe» (Alba). Che ne pensa lei? «È un’iniziativa nuova per noi. Speriamo che sia più di un accordo commerciale, che sia una politica orientata verso il commercio giusto, ma anche verso l’investimen- to giusto. Vogliamo sviluppare un’alleanza strategica in cui è la solidarietà a muovere gli interessi di queste na- zioni povere e non la competizione, l’opportunismo eco- nomico, come succede con i trattati commerciali classi- ci. L’intenzione è di creare alleanze in cui possiamo ve- derci come una sola nazione con un trattamento egualitario, è una dinamica che stiamo già vedendo con- cretizzarsi sulla tematica del petrolio venezuelano, che sta arrivando al Nicaragua e la metà del pagamento di questo rimane nel paese per 25 anni, perché si investa nell’agricoltura, nell’allevamento e nell’industria, che so- no i nostri punti deboli. Io vedo l’Alba non unicamente dal punto di vista politico-ideologico, ma come un’op- portunità di relazioni più eque dal punto di vista com- merciale, finanziario e della produzione, che aiutino i no- stri popoli a progredire con un po’ più di eguaglianza». «LA SICUREZZA ALIMENTARE È LA NOSTRA PRIORITÀ» Incontro con il ministro dell’agricoltura, ing. Ariel Bucardo
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