Missioni Consolata - Febbraio 2008

MISSIONI CONSOLATA deve realizzarsi nel terreno familiare, sociale e comunitario, conquistando progressivamente il diritto ad esiste- re nei territori che, per varie ragioni, si sentono autorizzati ad escludere i differenti, i «non conclusi», coloro che non hanno posizione, come nel caso dei portatori di disabilità. A Nazaret,Gesù si stupì della in- credulità dei suoi compaesani. La sua pedagogia aveva indicato come realtà prioritarie momenti umani non conclusi: poveri, ciechi, prigio- nieri, sordomuti, ecc. che aspettava- no attenzione e considerazione.A- veva anche lasciato capire che i loro affetti e le loro cosmovisioni senza tenerezza per la povera gente erano progetti lontani da Dio. Sarà unmessaggio valido anche per noi, oggi? Nel nostromondo c’è la tenerezza? Nella chiesa, nelle no- stre comunità religiose c’è la tene- rezza? Domande scomode,ma che è urgente farsi.Nella lettera ai Romani (10, 10), San Paolo parla di: parola e cuore.Con la parola proclami e con il cuore credi. È difficile far entrare la tenerezza in un determinato conte- sto perché oltre alle parole bisogna saper mettere il cuore. In questo oggi latinoamericano, così pieno di sfide e così scarno di incoraggiamenti e speranze, irrom- pe una riflessione nuova e promet- tente che, senza permesso, avvicina e articola campi teorici e pratici nella pedagogia e nella scienza dell’edu- cazione. Il progetto di Gesù conser- va tutta la sua forza e la sua attualità. In unmondo senza tenerezza ab- biamo provato a porci la domanda: «La tenerezza fa bene o no? Anche a coloro che sembrano escluderla dal- le loro relazioni interpersonali?». Quando si è iniziata la nostra attività con i bambini disabili delle nostre comunità indigene, si è agito su un piano di scommessa: «Scommettia- mo che la tenerezza piace?». È pia- ciuta ed è stata la prima medicina, che ha letteralmente trasformato bambini rifiutati,marginalizzati, sen- za possibilità e che adesso si sento- no stupendi. Solo poco tempo fa mi è giunta la notizia che due bambine della nostra comunità hanno parte- cipato alle paraolimpiadi, organizza- te in Ecuador dall’esercito, e una di esse ha vinto una medaglia. La tene- rezza ha fatto effetto, è entrata in piccole dosi,ma ora non se ne può più fare a meno. Ricordo la «batta- glia delle scarpe», combattuta tem- po fa: cosa non c’è voluto per incul- care l’importanza di usare scarpe in un ambiente come quellomontano della provincia del Chimborazo in E- cuador, dove si vive a circa tremila metri d’altezza! Adesso tutti metto- no le scarpe e non possono farne a meno.Quando si comincia ad usare una cosa e si fa esperienza della sua utilità, poi non se ne può più fare a meno! Se mettiamo tenerezza nelle nostre relazioni con i bambini, que- sta viene da loro assimilata con na- turalezza e altrettanto spontanea- mente trasmessa ad altri. Sono solamente 5 anni che si lavo- ra in questo campo,ma già si vedo- no piccoli risultati che confortano e fanno ben sperare per il futuro; biso- gna assolutamente confidare nel tempo. In particolare lo si nota fra le ragazze del posto che abbiamo ini- ziato a formare come educatrici: che bello vedere con che tenerezza trat- tano questi bambini.Un’indigena che si preoccupa di un’altra indige- na è un bel segno! Ragazzi che si preoccupano di altri indigeni che non appartengono direttamente al- la loro comunità rappresentano un bel passo avanti, si creano delle tra- sformazioni che produrranno del bene non soltanto ai bambini più svantaggiati,ma alle famiglie e, at- traverso di loro, a tutta la comunità. ■ MC FEBBRAIO 2008 25 La tenerezza di un’educatrice indigena nei confronti di un bambino disabile. Un centro di riabilitazione e formazione per bambini disabili gestito dalle forze armate ecuadoriane. L’autore dell’articolo con alcuni ragazzi della sua comunità. Dopo due lunghe esperienze di servizio in Kenya e Colombia, padre Giuseppe Ramponi, missionario della Consolata, ha lavorato per vent’anni in Ecuador, nel dipartimento andino del Chimborazo.

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