Missioni Consolata - Gennaio 2008
HAITI 62 MC GENNAIO 2008 senza la intimorisce o forse, è solo e- sausta della giornata. Nel sottotetto, a vista, noto che so- no appesi alcuni abiti, una borsa dal- la quale sbucano dei documenti e dei vecchi fogli e su un lato si intra- vede una piccola «valigia» di legno che contiene il misero guardaroba familiare.Chiedo a Marie l’età dei suoi bambini. La donna si alza, lascia per un attimo a terra la figlia e dalla borsa tira fuori gli atti di nascita e me li porge. LA FAMIGLIA In Haiti la copia dell’atto di nascita è molto importante, spesso è l’unico documento ufficiale che la persona possiede insieme, per taluni, al certi- ficato di battesimo.Con esso si stabi- lisce lo stato civile del bambino: se si tratta di un figlio naturale, se è rico- nosciuto dal padre, oppure di un bambino legittimo, se i genitori so- no sposati. Dai documenti, custoditi gelosa- mente, risulta che Marie, ha trenta- sette anni pur dimostrandone alme- no dieci in più, Funfun ne ha undici, il fratellomaggiore, Prudent, quat- tordici, mentre Jezibon e Jená han- no rispettivamente sei anni e dieci mesi.Non vive con loro la figlia mag- giore, Tina, che ha quindici anni e la- vora a Port-au-Prince, presso una fa- miglia di Capin emigrata. Tina rien- tra a casa per qualche giorno due volte all’anno: a Natale e durante il periodo estivo. Dalle carte scopro che Funfun è il suo soprannome, in realtà sul suo at- to di nascita è scritto Jezilenma la gente della zona la conosce unica- mente con il suo nomignolo.Nessu- no a parte la madre pronuncia il suo vero nome.Questa abitudine molto comune, è legata ad una pratica di segretezza secondo la quale al mo- mento della nascita si dà ai figli un nome segreto che solo i membri della famiglia conoscono e che verrà utilizzato quando saranno adulti. La vera identità dei bambini deve rima- nere, per quanto possibile, scono- sciuta perché conoscere il loro no- me può esporli ad eventuali malefi- ci. L’IMPORTANZA DEL NOME La funzione del nome è molto radi- cata nella cultura popolare.Al tem- po della colonia, un po’per derisione e un po’per non doverli associare ad un nome del calendario cristiano, i padroni davano spesso ai loro schia- vi dei nomi abbinati a personaggi mitologici o storici dell’antica Roma o Grecia (Néron, Pompée, Phaéton, Charlemagne, Brutus, Cirus,Moïse, ecc.).Oggi, se tra coloro che abitano la capitale c’è la ricerca di nomi nor- damericani che evochino personag- gi di successo, in campagna il nome spesso porta alla luce una speranza dei genitori oppure un particolare sentimento religioso. Quando una madre, ad esempio, è stanca di avere solo figlie chiama l’ultima arrivata Assefille ( basta bam- bine , ndr) nella speranza che i loa (spiriti del vodou, intermediari tra Dio e gli uomini) le risparmino «il di- sonore» di un’altra figlia femmina. In altri casi il nome materializza un sentimento religioso: Jezilà,Dieufort, Dieuseul,Dieujuste,Mercidieu, ecc. Marie vive sola nella sua casa con i quattro figli. Il padre dei suoi bambi- ni non abita con loro, ha un’altra donna e passa raramente per un breve saluto o per lasciare unmezzo sacco di patate o poco altro per aiu- tare a sfamare i figli. L’abbandono del tetto familiare da parte del marito o convivente è molto frequente ed esso si trasfor- ma spesso in una vera tragedia per chi resta.Normalmente infatti, è il padre che lavora la campagna ed è tenuto a fornire i principali mezzi di sostentamento. Spesso succede che quando l’uomo lascia la famiglia per andare a vivere con un’altra donna rompe i contatti con la prima e molti sono i casi di distacco completo. Il padre da quel momento in avanti non invia né denaro né cibo e si di- sinteressa completamente dei figli. Funfun, un giorno a proposito del padre mi racconta: «Sai, se papà mi incontra per strada mi ignora, gira la faccia dall’altra parte e prosegue». I genitori si relazionano inmanie- ra brusca e talvolta violenta rispetto S E QUESTA È VITA U n libro. Un’esperienza di vita. Massimo Miraglio ci tuffa direttamente in un villaggio haitiano. A Fond de Blancs nel «Paese di fuori», come gli hai- tiani stessi definiscono l’Haiti rurale.Ci fa parlare con la gente, ci fa capi- re, o avvicinarci almeno, ai loro problemi. Ci porta a spasso con Funfun, al mer- cato di Sainton, all’ospedale St. Boniface, a tu per tu con un posseduto del Vudù. Scrive Miraglio: «Non ho voluto unicamente raccontare la vita dei più poveri ma soprattutto dare loro la parola per evidenziare la presenza di una conoscenza altra ,di una logica altra ,di una cultura altra, che prova l’esistenza di umanità com- pleta anche da parte di chi vive la tragica realtà della miseria». Q uesto libro non è solo frutto di un’in- dagine sociologica e ben documenta- ta dell’autore, ma è lo scavare nei meandri dell’essenza di un popolo. Nella sua miseria quotidiana come nella sua umana ric- chezza. Per sete di conoscenza,ma anche e for- se soprattutto desiderio di condivisione. Il ricavato della vendita del libro sarà intera- mente devoluto a favore del Foyer Saint Camil- le a Port-au-Prince, fondato e gestito dai padri camilliani della provincia piemontese.Al Foyer sono assistiti bambini ammalati, portatori di handicap e orfani. Per saperne di più: www.arpnet.it/madian/haiti.htm . Massimo Miraglio «Se questa è vita, Antropologia della miseria. Un caso haitia- no» Edizioni Camilliane, pp. 160, € 15. I L LIBRO
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