Missioni Consolata - Gennaio 2008
58 MC GENNAIO 2008 COREA DEL NORD mercato nordcoreano e i contadini «ricchi», coloro che riescono a ricava- re dai loro appezzamenti di terreno sufficienti prodotti per rivenderli ai mercatini protocapitalistici che il go- verno organizza ogni settimana nelle città distrettuali. Le riforme volute da Kim Jong Il nel 2002 e applaudite dal consesso inter- nazionale hanno però impoverito ul- teriormente la maggioranza della popolazione.Non quella che «non ha voglia di lavorare», come direbbero subito alcuni,ma quella che non ha possibilità di lavorare meglio e di più. La proporzionalità diretta tra produt- tività e salario, introdotta dal gover- no, avrebbe dovuto aumentare la produzione industriale e agricola,ma così non è stato. «Nella nostra fabbri- ca i macchinari obsoleti non ci con- sentono di produrre quanto si pro- duce nella vicina fabbrica Hyundai. Eppure lavoro inmedia due ore di più al giorno, guadagnandomolto di meno del mio collega» si lamenta un operaio di una ditta metalmeccanica della regione di Kaesong. Fino a pochi anni fa sarebbe stato impossibile sentire una critica simile alla politica economica del partito. Il fatto che, seppur timidamente, qual- che parola in più oggi venga detta fa ben sperare anche le organizzazioni che si occupano di diritti umani, a cui il governo ha sempre negato l’acces- so per verificare direttamente la con- dizione della popolazione. DUE PASSI PER CAMBIARE LA STORIA Sono bastati solo due passi al pre- sidente sudcoreano Roh Moon-hyun per dare nuove speranze al futuro della penisola coreana. Lo scorso ot- tobre, lo abbiamo visto su tutte le te- levisioni, l’inquilino della CheonWa Dae , la Casa bianca di Seoul, è entrato in Corea del Nord varcando quello che, per quattro lunghi decenni, è stato il confine più sigillato della ter- ra: il 38° parallelo. Roh è stato il secondo capo di sta- to della Corea del Sud a fare visita a Kim Jong Il, dopo il famoso viaggio di KimDae Jung nel 2000, viaggio che valse a quest’ultimo il premio Nobel per la pace.Ma se allora KimDae Jung andò a Pyongyang in aereo, og- gi il successore Roh Moon-hyun ha voluto andarci via terra, a significare ORFANOTROFIO DI PYONGYANG A nche quando il raccolto di cereali in Corea del Nord è abbondante, la penuria di cibo attanaglia il paese. Agenzie di sviluppo imputano la colpa a vari fattori: mancanza di collegamenti tra i centri di produzione e i villaggi; sistema economico che spreca troppe risorse umane senza avere un adeguato ritorno in termini di pro- duttività; soprattutto, penuria di mezzi agricoli, fermi per mancanza di carburante e mezzi di ricambio, merci sottoposte a embargo dagli Usa. Oggi le autorità nordcoreane non nascondono le difficoltà economiche cui so- no costrette a far fronte: in una cooperativa situata in una zona il cui accesso è so- litamente proibito agli stranieri, trovo una situazione intollerabile: pensionati, don- ne e bambini frugano tra i rifiuti alla ricerca di resti ancora commestibili e legna da ardere, bene prezioso nel gelido inverno montano. Il presidente del distretto mi e- logia la meccanizzazione raggiunta: 34 trattori, 10 camion, 6 mietitrebbiatrici. Poi, dietro mia insistenza, mi dice che quel camion è fermo per manutenzione, la mie- titrebbia ha il mozzo rotto e così via. Alla fine, solo un trattore è operativo, «al- meno sino a quando avremo benzina». L’ ospedale regionale è sovraffollato,mancano le medicine, si opera senza aneste- sia; eppure il personale si prodiga all’inverosimile per alleviare la sofferenza dei loro concittadini. È da zone come queste che arrivano i bambini dell’orfanotrofio di Pyongyang, vicino al seminario buddista, i cui genitori sono morti a causa delle ca- restie. Pulito e accogliente, l’edificio ospita un centinaio di bambini che hanno pochi mesi di vita. Sono tra i pochissimi occidentali a entrare in questo mondo di soffe- renza, dove languono diversi bambini malnutriti, alcuni dei quali hanno già raggiunto lo stadio finale. «Lo dica pure in Italia che manca il cibo. Dobbiamo salvare i nostri figli.Abbiamo bisogno del vostro aiuto, abbiamo bisogno di medicine, di cibo... Chi vuole venire ad aiutarci è il benvenuto» dichiara un alto dirigente del partito. La mancanza di corrente elettrica («non possiamo permetterci un generatore perché non abbiamo gasolio») costringe il personale a lavorare in condizioni proi- bitive. Mi mostrano alcune stanze: bambini scheletrici inermi fissano il vuoto con i loro occhi infossati; un altro continua a battere la testa contro la barriera in ferro del letto, lacerandosi il labbro e la fronte, altri ancora presentano eczemi in diver- se parti del corpo, dovuti alla mancanza di difese immunitarie. «Il 10% di questi bambini non raggiungerà l’anno, alcuni arrivano qui già morti o moribondi come questo» mi dice la direttrice mostrandomi un fagotto in cui è av- volto un bimbo dalla pelle raggrinzita. Lo accarezzo e lui istintivamente mi stringe il mignolo con le sue dita. Pak, la mia guida si commuove.Organismi cattolici come la Caritas,Misereor, i monaci Benedettini (la congregazione più numerosa in Nord Corea prima del 1950) hanno avviato programmi di collaborazione e sviluppo e il governo stesso non cela la sua preferenza verso questo tipo di interventi, meno politicamente interessati rispetto agli aiuti convogliati in via ufficiale dagli stati e dal- le agenzie collegate all’Onu. Alla sera, tornato in albergo, Pak mi annuncia che il bambino scheletrico mo- stratomi dalla direttrice è morto. Al suo posto ne hanno già accolto un altro. Infermiera e bambino dell’orfanotrofio di Pyongyang.
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=