Missioni Consolata - Gennaio 2008
56 MC GENNAIO 2008 COREA DEL NORD tradizioni, leggende.Una striscia che anche un pupetto di pochi mesi, bar- collando a quattro zampe, potrebbe facilmente superare e che invece, qui, riesce a mantenere divisi eserciti tra i più potenti al mondo. Ai fragori dei cingoli dei carri arma- ti, alle urla dei soldati, ai pianti dei ci- vili in fuga, ai sibili delle bombe, ora si è sostituito il silenzio.Che,però, equi- vale al clamore della disperazione.Un silenzio assordante che dura da quel 27 luglio 1953,quando le due dele- gazioni, da una parte quella nordco- reana e dall’altra quella statunitense in rappresentanza dell’ONU, appose- ro sul documento dell’armistizio le loro firme, fondamenta per quella striscia di cemento invalicabile. In seguito, Seoul eresse lungo tutta la Dmz (zona demilitarizzata) unmu- ro, questa volta vero, di cemento ar- mato, identico a quello eretto a Berli- no. La sua costruzione, come del re- sto quello che divide Cipro, non indignò il mondo «libero», perché e- retto da una potenza ad esso alleata e per di più in prima linea a fronteg- giare il «pericolo rosso». Dalla mia postazione privilegiata, oggi posso vedere i volti dei turisti che, dalla parte meridionale, osserva- no curiosi ed emozionati, questo «re- gno eremita» con binocoli, cannoc- chiali, cineprese,macchine fotografi- che. Hanno espressioni grevi, non so se dovute al fatto di essere consci dei tragici eventi che Panmunjom sim- bolizza o per la paura di essere di fronte a quello che è stato per anni descritto come un paese guidato da pazzi guerrafondai, pronti a lanciare ordigni nucleari a destra e a manca. Le guardie nord e sud coreane si scrutano a vicenda.Nei loro occhi non vedo odio,neppure rancore,ma noia,quella sì. Le giornate passano lente,monotone, tutte uguali da 50 anni a questa parte.Solo qualche al- larme, di tanto in tanto, e del resto su- bito rientrato,ha aumentato la ten- sione. Se invasione ci dovesse essere, non è certo da qui che inizierebbe. Giornate lente, scandite dal ritmo cadenzato dei passi al cambio delle guardie o dalle bandiere che garri- scono svogliatamente al vento. Il vento... solo lui, assieme agli uccelli e alle nuvole, che non conosce confini. Neppure qui a Panmunjom. EGUALITARISMOCOREANO Avevo impiegato 24 ore ad attra- versare in treno il breve tratto che da Pyongyang arriva a Sinuiju, al confine cinese. Innumerevoli black out scon- volgevano continuamente la tabella di marcia.Ora che compio il tratto in- verso, la locomotrice sembra correre verso la capitale; non «divora la pia- nura» come quella cantata da Gucci- ni, ma arranca faticosamente; e forse non va neppure verso la giustizia pro- letaria, se al confine ritrovo la situa- zione, purtroppo familiare,di guardie nordcoreane che pretendono dai commercianti e dalle famiglie cinesi parte della loromercanzia o bagagli: meloni, scarpe, vino, carne, cappellini non importa quali,purché abbiano unmarchio « global » ben visibile,ma- gliette dai colori sgargianti che faran- no distinguere chi le indossa dalla massa di uniformi verdi e grigie. Un dazio illegale, certo,ma accetta- to da tutti.Del resto, qui in Corea del Nord, l’illegalità va a braccetto con la Panmunjom: soldati nord e sud coreani a guardia della «linea bianca». Panmunjom: sala dove fu firmato l’armistizio nel 1953. Soldato nord coreano a guardia della zona demilitarizzata tra le due Coree.
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=