Missioni Consolata - Gennaio 2008

MISSIONI CONSOLATA MC GENNAIO 2008 41 chiudono la nostra attitudine a condividere con gli altri emozioni e stati d’animo, e senza esserce- ne accorti, ci troviamo a coabita- re con un nemico interno: l’odio. L’odio, come l’amore, è un senti- mento molto forte che ha il pote- re di legarci indissolubilmente a una persona, facendo sì che l’ag- gressore rimanga presente nei ri- cordi, nei pensieri, nei progetti di chi è stato offeso. Il percorso del perdono implica proprio la liberazione da questo nemico interno (l’odio declinato nelle sue varie accezioni: rabbia, rancore, delusione, tristezza, ven- detta,…) per portarci a una situa- zione di rinnovata libertà. Dal punto di vista etimologico per- donare significa «dare in dono». Il perdono è di fatto un dono per- fetto che agisce come una doppia liberazione sia del- l’offensore, che non è più identificato con la sua offesa, sia dell’offe- so, liberato dal suo ran- core. La psicologia moderna sta iniziando ad inte- ressarsi al perdono in quanto esso ha la ca- pacità di attenuare il ri- sentimento e il ranco- re provocando su chi perdona un effetto ca- tartico. Questa libe- razione interiore permette di reinve- stire le energie pri- ma bloccate dalla rabbia in attività e stati emotivi co- struttivi. La rabbia infatti catalizza molte delle nostre energie psichiche e ci rende poveri di ener- gie da investire in nuovi rapporti e re- lazioni soddisfa- centi. In un recente con- vegno, Carlos Sluzki (2007, Tori- no), indicava il perdono come un percorso costruttore di senso per la gestione dei conflitti. Alla luce di una propensione del- le persone a condurre fuori o den- tro di sé le cause dei fatti che ca- pitano loro, Sluzki attribuiva ai due gruppi una diversa tendenza a provare sentimenti di vergogna o di umiliazione di fronte alle of- fese ricevute. Ci sono persone che propendono a «internalizzare», cioè a guarda- re i propri pensieri e i sentimenti provocati da qualche of- fesa cercando dentro di sé la motivazione di quanto accaduto. Questo stile condu- ce a individuare in se stessi elementi scatenanti la situa- zione. L’altro gruppo di persone invece pro- pende a «esterna- lizzare», cioè a con- durre fuori di sé le cause di ciò che di spiacevole è accadu- to, attribuendolo a chi gli sta attorno. Questo meccanismo, chia- mato di «attribuzione causale», lega lo stile individuale di una per- sona a una specifica modalità di rielaborare la rabbia: nel caso di coloro che tendono a guardarsi dentro si produce il sentimento della vergogna, mentre nel caso di coloro che cercano le cause fuori da sé, quello di umiliazione. Ver- gognarsi è vedere se stessi attra- verso gli occhi dell’altro che ci ha offesi, è guardarsi con occhi so- stanzialmente negativi: ci si chiu- de in se stessi coabitando col pro- prio senso di colpa. L’umiliazione invece è il senso di essere stati trattati ingiustamente che porta a rivolgere verso l’esterno il risenti- mento che si cova dentro con spi- rito vendicativo, che trova il suo motivo d’essere nell’umiliazione subita. È evidente che entrambi i percorsi non contribuiscono a ristabilire un equilibrio armonico della persona che, da un lato nasconde dentro di sé i sentimenti di colpa suscitati dall’aggressore, dall’altro indivi- dua le modalità con cui rivalersi sull’altro facendogliela pagare. Il perdono è la terza via, strada per riappacificarsi con il proprio pas-

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