Missioni Consolata - Gennaio 2008

DOSSIER 40 MC GENNAIO 2008 S ono molti i pensatori e i filo- sofi che nel corso dei secoli hanno fatto affermazioni sul perdono. Di fronte a comporta- menti aggressivi di cui le cronache ci forniscono sempre più nume- rosi esempi sembrerebbe che questo termine sia obsoleto e or- mai fuori moda. Eppure l’esperienza della «rottu- ra» è propria di ciascuno di noi: se le grandi atrocità ci pongono spesso in atteggiamento da spet- tatori, le sottili rivincite, le picco- le vendette e le disattenzioni non casuali sono all’ordine del giorno nel nostro interagire quotidiano. Possiamo imbatterci in un percor- so di progressive incomprensioni che ingenera in noi un malessere diffuso, oppure essere oggetto di un attacco diretto da parte di qual- cuno: il risultato è sempre una rot- tura che si genera al nostro inter- no, una ferita che provoca soffe- renza. Il rapporto con l’altro è di- sturbato, interrotto, bloccato; la pace è perduta. Da alcuni anni ho iniziato ad in- dagare se la parola «perdono» fos- se da leggersi esclusivamente in chiave religiosa, oppure se appar- tenesse anche all’ambito della psi- cologia. La ricerca che ne è scatu- rita mi ha portato a scoperte inte- ressanti sull’argomento. Il perdono può essere definito co- me quel percorso che permette a chi è stato vittima di una violenza di non mantenere aperta la ferita ricevuta, ma di recuperare la fidu- cia nel valore della relazione con l’altro che l’offesa aveva distrutto. Si parla di percorso in quanto è un processo di cambiamento che ri- chiede un processo di riconver- sione che può durare a lungo nel tempo. Solo il tempo infatti può modulare il suo passaggio da un puro atto di volontà al coinvolgi- mento della emotività e di un mo- do nuovo di comportarci con noi stessi e con gli altri. Non va di- menticato che in una visione glo- bale dell’uomo le sue componen- ti fisica, cognitiva, emotiva, com- portamentale e trascendente influiscono tutte sul suo equilibrio di vita: se c’è da operare una ri- strutturazione, essa sarà duratu- ra solo se investe e coinvolge tut- ti questi aspetti. Quando si usa il termine «vittima» ci vengono alla mente i grandi cri- mini perpetrati ai danni dell’uma- nità. Ciò è assolutamente corret- to, ma a questa immagine va af- fiancata qualsiasi situazione in cui una carenza di attenzione e di amore, volontaria o accidentale, produce una sofferenza. Questo passaggio fa sì che noi stessi im- personiamo in momenti diversi tanto il ruolo di vittime che di ag- gressori: solo l’empatia e il tenta- tivo di capire chi ci ha feriti ci ren- dono capaci di perdonare. Molte volte l’altro non ha vera- mente l’intenzione di farci del ma- le, ma siamo noi ad attribuirgli questa intenzionalità trasforman- dolo in un nemico da cui difen- derci. Proiettiamo cioè qualche nostra paura o ansia sull’altro e creiamo senza accorgercene una situazione di tensione. Quando si subisce un torto, so- prattutto se l’entità del danno su- bito è grande, succede che si rom- pe il rapporto di fiducia con l’altro o più in generale verso la vita. Ma allora, come essere fiduciosi di fronte a situazioni che ci ferisco- no e ci portano a difenderci? Il più delle volte la situazione di sofferenza in cui ci veniamo a tro- vare sfocia in un processo di ge- neralizzazione, cioè pensiamo che tutte le persone che hanno le caratteristiche di chi ci ha offeso ci potrebbero a loro volta ferire («tutti gli stranieri…», «tutti gli uo- mini fanno così…», «tutti i giova- ni non…»). La delusione e la sof- ferenza vissute all’interno di una relazione per noi significativa han- no provocato l’innalzamento del- le nostre difese e il crollo della no- stra capacità di fidarci degli altri, di chiunque si tratti. Fuori e dentro di sé L’irrigidimento interno e il ricorso a dei meccanismi per difenderci Uno sguardo alla psicologia del perdono LIBERA IL PRESENTE Saper dire: «Ti perdono» è il traguardo finale di un percorso fatto di piccoli successi e sofferenza. La «purificazione» del passato, con la conseguente liberazione dalla rabbia e dal risentimento è il premio finale che spetta a chi, nell’oggi, sceglie questa via per gestire i suoi conflitti, verso una vera e matura riconciliazione. Di Maria Nosengo «Noi siamo tutti impastati di debo- lezze e di errori: perdonarci recipro- camente le nostre balordaggini è la prima legge di natura». (Voltaire) «Il perdono è l’ornamento dei forti». (Mahatma Gandhi) «Perdonare e dimenticare vuol dire gettare dalla finestra una preziosa esperienza già fatta». (Schopenhauer) «Non c’è pace senza giustizia; non c’è giustizia senza perdono». (Giovanni Paolo II)

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