Missioni Consolata - Gennaio 2008
DOSSIER 38 MC GENNAIO 2008 in cui nascondiamo il nostro odio, le nostre rabbie ed i nostri rancori. Gli animatori sono «gente comu- ne»: uomini, donne, giovani di una determinata zona, scelti e preparati specificatamente per aiutare i partecipanti delle escue- las a recuperare l’armonia perdu- ta. A volte, in questi piccoli «la- boratori del perdono» le persone giungono a scoprire di non esse- re soltanto vittime, ma di essere nel contempo vittime e oppresso- ri. Guerriglieri, paramilitari, sol- dati o delinquenti comuni fanno la sorprendente scoperta che die- tro la rabbia accumulata in tanti anni di violenza vi sono offese del passato che si sono ormai tramu- tate in odio represso, un’infezio- ne che occorre affrontare e cura- re per tempo, prima che faccia danni irreparabili alle vite delle persone. L’animatore ha un compito fon- damentale: aiutare la vittima (che nel frattempo può essersi scoper- ta anche nella sua qualità di op- pressore) a sanare le fratture che si sono verificate nei tre grandi «pilastri» dell’esistenza umana: il senso della vita, la sicurezza e la socializzazione. Aiutare la perso- na a intervenire positivamente in questi ambiti significa aiutarla a riscoprire un’armonia e un equili- brio che sono andati perduti a causa di uno o più episodi trau- matici. L’animatore deve anche sottolineare con forza che l’ar- monia non si conquista soltanto con motivazioni di tipo razionale o cognitivo. Come si ricordava an- teriormente, il processo è olistico e riguarda la dimensione del pen- sare (cognitiva), dell’agire (etico- comportamentale), del sentire (emozionale) e del trascendere (spirituale). Abbiamo scelto la parola «scuola» per sottolineare la necessità di un programma, di un metodo e di contenuti. In modo analogo, la pa- rola scuola si riferisce al processo di condivisione della saggezza collettiva che sgorga quando le persone si riuniscono volontaria- mente nella ricerca di obiettivi co- muni. La metodologia, come si è detto, sceglie terapie di gruppo. In que- sti spazi l’individuo può raccon- tare la propria storia: far memo- ria e narrare la ferita che porta dentro sperimentando il potere taumaturgico di queste dinami- che di insieme. Infine, in questi spazi e attraverso questo proces- so, le vittime iniziano un nuovo e graduale percorso di socializza- zione. Recuperando la capacità di relazionarsi adeguatamente con gli altri potranno anche iniziare, quando le circostanze lo permet- tano, un cammino di riconcilia- zione che li avvicini nuovamente a chi nel passato ha fatto loro del male. Si tratta di un processo a lungo termine, che mira alla creazione della cultura della riconciliazione per soppiantare l’esistente «cul- tura» della rivalsa. Si tenta di su- perare la dialettica dell’occhio per occhio, dente per dente, in modo da favorire l’atmosfera adeguata a processi di verità e giustizia, condizioni irrinunciabili per una liberazione definitiva e vera dal- l’odio e dalla violenza. Nel dolore della violenza in Colombia L’area pensata originariamente per questo progetto è il territorio colombiano. All’interno di esso il programma si è sviluppato in ac- cordo con le circostanze e le esi- genze di determinate zone o gruppi di persone, adattandosi al- le modalità, ai luoghi o all’inten- sità dei conflitti che generano vio- lenza politica e sociale nel paese. Così, ad esempio, nelle comunità indigene del Nord del Cauca, presso il popolo Nasa, il lavoro della Fondazione, si traduce nel- l’accompagnamento dei giovani indigeni che fanno ritorno a casa dopo essere stati legati a gruppi armati. Il lavoro viene svolto in- sieme, da animatori, ragazzi e au- torità indigene consentendo così un armonioso reinserimento di questi giovani nella comunità di appartenenza, in consonanza con la tradizione ed il diritto indigeno. Un altro contesto particolare è quello svolto fra le comunità afro- discendenti dove prevale il nume- ro di persone sfollate a causa del- la guerra. La Fondazione, grazie al modello dei Centri di riconciliazione, ge- stisce l’affiancamento individuale e collettivo a queste popolazioni, cercando di rafforzare i vincoli co- munitari per generare una tesau- rizzazione di ricchezza sociale, indispensabile per superare il conflitto armato in Colombia. A livello cittadino, l’impegno prin- cipale è a livello di collaborazione con le istituzioni educative e il Se- gretariato dell’Istruzione. La Fon- dazione coopera attraverso le «Espere» in 28 scuole del distret- to di Bogotá con gravi problemi di convivenza interna ed esterna, con presenza di bande e tifoserie vio- lente, le cosiddette barras bravas . Il reinserimento in società di sog- getti che hanno militato in gruppi armati, la loro integrazione pres- so le comunità riceventi, nonché la sostenibilità dei loro progetti di Un programma speciale della Fundación assiste i giovani che decidono di abbandonare la lotta armata.
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