Missioni Consolata - Gennaio 2008
DOSSIER 32 MC GENNAIO 2008 C’è un altro termine in italiano che riporta alla stessa radice ebraica ed è la parola «elemosina» che nel nostro linguaggio comu- ne ormai è diventata espressione di un gesto benevolo verso qual- che povero di strada: dare qual- che centesimo. Fare elemosina ha anche il significato di dare e rice- vere sporadicamente una miseria, come bene esprime l’espressione: «Non ho bisogno di elemosina!». Il termine invece è carico di sen- so, proveniente direttamente dal verbo greco «eleè ō » che significa «ho misericordia». Anch’esso nel- la Bibbia si rapporta con l’ebraico rachàm , per cui, ancora una vol- ta, ha attinenza con il «grem- bo/utero» materno che partori- sce. «Fare elemosina», quindi, nel suo significato originario, etimo- logico significa «avere pietà/mi- sericordia» nel senso proprio di accettare di essere generanti/par- torienti: «fare elemosina» in con- clusione significa «generare alla vita». Nella liturgia eucaristica è rimasta una reminiscenza della celebra- zione greca dei primi secoli ed è l’invocazione dell’inizio: Kýrie, elèison! Christe, elèison! », dove il verbo imperativo «elèison» è ap- punto una invocazione di perdo- no come misericordia che rigene- ra alla vita. L’esercizio della mise- ricordia diventa quindi un atto di culto che ha valore sacrificale e ri- generativo perché condivide chi si è e ciò che si ha. Questo è il cri- stianesimo nel suo ideale supre- mo. Questo dovrebbe essere il cattolicesimo. Questa dovrebbe essere la vita e la testimonianza dei credenti. Da quando Gesù è morto sulla croce, giudizio, con- danna, moralismo, perbenismo, tutto è morto con lui, perché da quella croce, nuovo monte Sinai della Nuova Alleanza, scendono non più due tavole di pietra, fred- de e giudicanti, ma il grembo e la tenerezza di Dio, Madre/Padre che hanno il volto umano e divino dell’Uomo Gesù. Luca fa iniziare il ministero di Ge- sù nella sinagoga di Cafarnao con una citazione di Isaia, da cui però omette volutamente la parte fina- le di un versetto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la libe- cia la misericordia di Dio, quindi non è solo mettere in pace la co- scienza e ristabilire un ordine mo- rale, ma è principalmente il «mi- nistero» che proclama e svela il vero nome di Dio: «Dio di perdo- no». Nella versione di Luca, invece, si usa la doppia congiunzione « kài gàr » (che alla lettera significa «e infatti»), ma qui ha valore causa- le e quindi può tradursi con «af- finché»: «Perdonaci affinché [an- che noi] possiamo perdonare». In Luca, il perdono di Dio diventa causa e forza per il perdono vi- cendevole tra gli uomini che non è possibile o quanto meno è diffi- cile realizzare senza il perdono di Dio. Si chiede perdono a Dio «per- ché» si abbia la forza di perdona- re i propri simili. In questo modo il perdono degli uomini diventa il «sacramento», il segno del per- dono di Dio. Un atto di amore ri- cevuto non può che essere condi- viso. Il perdono non è una pia pratica di pietà né un atteggiamento ascetico di purificazione in vista di una ricompensa futura, ma as- sume la veste solenne di un co- mandamento. Il perdono, infatti, non è facoltativo, ma è un impe- rativo che adempie l’Alleanza nuova perché è la rivelazione del- la vera natura di Dio, che chi cre- de deve rendere visibile e speri- mentabile. Perdonare significa aiutare gli altri a «toccare il Verbo della vita» (cf 1Gv 1, 1) perché è la vera novità dell’evento Gesù Cristo che l’ha stabilita e codifi- cata nella quinta beatitudine: «Beati i misericordiosi perché tro- veranno misericordia» (Mt (5, 7). Per capire la portata di questo di- scorso che è decisivo per la fede, è necessario lasciarsi conquistare dal significato delle parole della Scrittura, in modo particolare da due di esse: «misericordia» e «perdono». Ogni parola della Scrittura è come una persona: ha un’anima e un corpo. Il corpo so- no le lettere e l’anima è il senso, il significato. Ogni parola è viva, danzante, piena di vita, per cui leggere una parola o una serie di parole non significa scorrere un insieme di lettere morte, ma in- contrare una persona viva che in- teragisce con chi legge, trasmet- te emozioni, sentimenti, immagi- nazioni: ogni rapporto con le parole è un turbinio di sensi che non lascia mai indifferenti i pro- tagonisti. Non è un caso che la tradizione giudaica insegna che Dio prima ancora di creare il mon- do, creò dieci cose, tra cui le let- tere dell’alfabeto che sarebbero servite per scrivere la Toràh , cioè per mettere in comunicazione Dio e l’uomo. Un Dio «scandaloso» Tutti ricordiamo le due parabole «scandalose» di Luca: il buon Sa- maritano che si fa carico del ne- mico Giudeo (Lc 10, 25-37) e la fa- mosa parabola conosciuta comu- nemente come parabola del figliol prodigo (Lc 15,11-32). Tutte e due le parabole potrebbero esse- re catalogate come «vangelo del grembo», perché in esse e solo in esse Luca usa un termine specifi- co che in italiano è tradotto con «compassione» nella prima e con «commosso» nella seconda, non rendendo però giustizia al signi- ficato profondo del testo origina- rio. Luca infatti usa il verbo passi- vo greco « esplanchnìsthê » che traduce l’ebraico rachàm (da cui rèchem e rachamìm ), termine da cui deriva la parola italiana mise- ricordia. In ebraico richiama l’u- tero materno (= rèchem ) nell’atto di generare alla vita: «Un Samari- tano, che era in viaggio, passan- dogli accanto lo vide e n’ebbe compassione» (Lc 10, 33). Lo stesso verbo « esplanchnìsthê » è usato da Luca nella parabola del figliol prodigo che la traduzione italiana rende con «commosso»: «Quando era ancora lontano, il padre lo vide e, commosso, gli corse incontro» (Lc 15,20). Que- sta traduzione non fa giustizia al testo che, come abbiamo visto, si riferisce all’ebraico rachàm per si- gnificare che è un amore viscera- le, cioè senza ragione logica, un amore «a perdere» che solo una madre e un padre sanno speri- mentare. Il riferimento al «grem- bo/utero» materno mette in evi- denza che la misericordia di Dio non è una concessione benevola, ma un atto che genera e riporta al- la vita. Quando si è afferrati dal perdono di Dio si scoppia di vita e questa zampilla di gioia. Questo è lo scandalo del Dio di Gesù Cri- sto: egli perdona «con grembo» perché vuole fare rinascere a vita nuova.
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